Il premier Matteo Renzi (foto LaPresse)

“Renzi andreottiano, la guerra agli islamisti è necessaria"

Salvatore Merlo
Ferruccio De Bortoli ricorda la Fallaci e critica le ambiguità italiane: “Non si esorcizza e nasconde la guerra” – di Salvatore Merlo

Roma. “Ci sarà tempo per rispondere con il dialogo e con la cultura. Ma dopo. Un intervento armato contro lo Stato islamico è una assoluta necessità. Siamo in guerra, siamo sotto attacco. E le guerre non si combattono solo con i droni”. Ferruccio de Bortoli è stato il direttore che dopo l’11 settembre riportò Oriana Fallaci al Corriere della Sera, ed è a lui che, attraverso l’espediente narrativo di una lunga lettera, è indirizzato la “Rabbia e l’orgoglio”, non soltanto un libro, dice De Bortoli, “ma un pugno serrato al ventre molle di un occidente che oggi, come allora, rifiuta di accettare la terribile evidenza dei fatti, e cioè che il nostro mondo, il nostro stile di vita, le nostre libertà, persino la nostra etica e religione sono sotto attacco. Oriana dimostrò quanto l’occidente possa apparire imbelle e decadente agli occhi degli islamisti che attentano ai suoi valori. Voleva svegliarci”. In Francia Oriana Fallaci subì un processo. “Fu accusata di razzismo, e la Francia del politicamente corretto le si scagliò contro. Ma adesso ci sono stati gli attentati di Parigi, e le parole di Oriana suonano ancora più brucianti. Siamo in guerra, e questa è una parola che non può essere esorcizzata, nascosta. Tutti vogliamo la pace, ma la pace non è uno stato naturale, la pace va difesa, si conquista”. La Francia cambia atteggiamento. “Gli attentati di Parigi hanno determinato la perdita della residua innocenza che aveva quel paese. Dopo il massacro di Charlie Hebdo ci fu grande emozione, ci fu anche una grande manifestazione di leader internazionali per le strade di Parigi, a tratti persino incongrua. Ma poi hanno cercato di dimenticare: come se il terrorismo islamico appartenesse alla fisiologia dell’inevitabile e non a una patologia che va avanti da anni e che si può curare solo rispondendo alla guerra con la guerra”.

 

L’Italia di Matteo Renzi esprime solidarietà alla Francia colpita, promette aiuto, ma l’atteggiamento del governo, come ha scritto Giuliano Ferrara sul Foglio di ieri, sembra scoutistico: “L’importante è reagire a queste azioni di guerra senza sentirsi in guerra”, ha detto il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni, qualche giorno fa. “L’atteggiamento italiano è comprensibile, ma anche preoccupante di fronte all’attacco continuo degli islamisti”, riprende De Bortoli. “Quello di Renzi è un atteggiamento andreottiano, ambiguo, che fa anche a pugni con il nostro impegno militare all’interno delle forze di pace internazionali dispiegate all’estero in Iraq, in Libano e in Afghanistan. Io capisco questa cautela, ne capisco le ragioni anche se non le condivido. La cautela di Renzi deriva tutta da calcoli di tipo politico, interni al nostro paese: l’impegno è pericoloso. E c’è anche l’idea, assolutamente sbagliata, che il disimpegno, o un impegno parziale e distratto, metta al riparo il paese dagli attentati. Non è così. Non è affatto così. Lo dimostra la terribile storia di questi ultimi quindici anni. C’è una guerra. E francamente Renzi non può pensare di maneggiare la guerra al terrore islamico con lo stesso spirito degli ottanta euro e dei bonus ai diciottenni. E non si può essere nemmeno tartufeschi, com’è capitato nei nostri rapporti con la Russia: siamo stati ambigui anche con Putin, su tutta la linea, a cominciare dall’affaire Ucraino e dalle sanzioni. Al contrario bisogna essere conseguenti nei confronti delle nostre alleanze. Se Hollande chiede aiuto, bisogna darglielo. E invece l’Italia fa finta di niente, come se non stesse succedendo nulla, o quasi. Un intervento militare di terra contro lo Stato islamico è necessario, ma stavolta non per esportare la democrazia: non ha funzionato”. E allora è necessario un intervento per annientare il Califfato. Punto e basta.

 

[**Video_box_2**]Ma la rimozione della parola guerra non è soltanto un problema italiano. Tutta l’Europa tentenna. Anche la Germania, la guida economica, ha difficoltà. “Angela Merkel non parlerà mai di guerra, c’è la paura del passato, a Berlino svolazzano ancora i fantasmi della guerra mondiale”, dice De Bortoli. “Ma come può sopravvivere al conflitto un’Europa che ha investimenti così bassi per la propria difesa, e che sempre meno può fare affidamento sulla protezione del gigante americano? Questo guasto non si risolve senza una leadership continentale, e l’unica leadership all’orizzonte è quella di Merkel. La cancelliera potrà anche non pronunciare la parola ‘guerra’, ma io non escluderei, viste le ultime novità anche in Mali, che la Germania possa promuovere una forza di pronto intervento europeo contro il terrorismo islamico. L’intervento militare contro il Califfato, se ci sarà, non può che passare da un più deciso coinvolgimento di Berlino. Ed è già chiaro che lo Stato islamico non si sconfigge con molti alleati che agiscono per i fatti loro combattendo ciascuno un nemico diverso”.

 

E De Bortoli si riferisce alle ambiguità dei paesi del Golfo, all’isolamento di Israele, alle tensioni tra Russia e Turchia, all’allenza con l’Iran. “L’intervento armato sul terreno è inevitabile. Vanno bene i peshmerga, i curdi e i ribelli, ma la chiave di volta è un’altra: è un’alleanza occidentale, anche con la Russia, ma un’alleanza seria che metta da parte tutte le ambiguità, i non detti, gli interessi occulti, i rapporti trasversali, un’alleanza che escluda chi è ambiguo. Ci sono paesi del Golfo che sotto sotto hanno un interesse strategico alla sopravvivenza dello Stato islamico? E’ vero o no che Israele viene sempre più isolata, fino al punto che Hezbollah diventa un alleato contro i terroristi? I fatti e gli orrori ci obbligano a una reazione. Non si tratta di un attacco, ma di una legittima difesa. Siamo tutti per la pace, ma la pace va protetta se la si vuole davvero”. Lo dicevano anche gli antichi romani. Se vuoi la pace, preparati alla guerra.

  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.