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Il terrorismo islamista e l'adeguatezza delle procure. Il documento che Renzi deve leggere

Claudio Cerasa
Vogliono raccontarci che il terrorismo islamista è prima di tutto un problema di sicurezza interna che si risolve caricando i fucili di cultura. Ma quanto è preparata l’autorità giudiziaria di fronte all’aggressione terroristica? Il programma di formazione della Scuola superiore della magistratura dovrebbe preoccupare il governo.

Vogliono raccontarci che il terrorismo islamista è prima di tutto un problema di sicurezza interna che si risolve caricando i fucili di cultura, di campetti da calcio in periferia e di cinema aperti nei luoghi del disagio sociale e che si previene più con un rafforzamento della prassi penale che con un rafforzamento della prassi militare. Il messaggio del governo, almeno per il momento, suona più o meno così. E in presenza di questo messaggio non ci si può non chiedere se il livello di prevenzione – e la capacità di contrasto dimostrata negli ultimi anni dal sistema italiano nell’affrontare la minaccia del terrorismo islamista – presenti oppure no delle crepe che alla lunga potrebbero compromettere la stabilità della nostra struttura di sicurezza.

 

Il 2015 non è solo l’anno in cui abbiamo scoperto che il Bassam Abachi, predicatore della moschea di Molenbeek e ideologo dei futuri attentatori del venerdì 13 di Parigi, era lo stesso Abachi arrestato a Bari nel 2008, condannato in primo grado a otto anni di reclusione e poi assolto in Appello con una sentenza che lo ha rimesso in circolazione. Il 2015, tra le altre cose, è stato anche l’anno in cui un gip, a febbraio, a Lecce, ha scarcerato cinque persone arrestate dopo essere sbarcate in Puglia con documenti falsi e filmati di bombardamenti e di esecuzione di attentati contenuti nelle memorie dei cellulari con motivazioni singolari (“appare irragionevole che eventuali terroristi arabi giungano in territorio italiano in condizioni precarie e a bordo di una piccola imbarcazione”), facendoci rivivere attimi simili a quelli vissuti dieci anni fa ai tempi di Clementina Forleo e di Guido Salvini (quando la procura di Milano e quella di Brescia scelsero di assolvere alcuni islamisti dal reato di terrorismo internazionale per questioni culturali più che giuridiche, perché “la distinzione tra terrorismo, guerriglia e movimenti internazionali – scrisse in un famosa sentenza il giudice di Brescia Salvini – ha certamente un forte rilievo storico ma rimane ancora molto discussa anche nel diritto internazionale e difficilmente può essere utilizzata sul piano giuridico interno”). Di fronte a questi fatti e a molti altri (qualche giorno fa quattro estremisti islamici residenti a Bologna, per i quali un gip non aveva convalidato gli arresti disposti dalla procura, sono stati espulsi dal ministero dell’Interno) viene naturale chiedersi quale è il grado di adeguatezza culturale dell’autorità giudiziaria di fronte all’aggressione del terrorismo islamista. Generalizzare è un errore, ovvio. E’ certamente un caso che le mailing list interne delle correnti dei magistrati siano piene di pm e di giudici convinti che per spiegare il terrorismo islamico non ci sia nulla di meglio che identificarsi nelle parole di Slavoj Zizek o di Umberto Eco. Ed è certamente un caso che ci siano magistrati (Milena Balsamo, 17 novembre 2015, giudice a Pisa) convinti che “quando si commettono eccidi come quelli contro gli algerini, quando si colonializza, e gli ex coloni vengono comunque emarginati, non puoi ipotizzare che quella dell’islam sia solo una guerra di religione. In fondo che differenza noti tra gli eccidi dei terroristi e quelli dei paesi ex colonizzatori?”. E’ tutto naturalmente casuale.

 

[**Video_box_2**]Ma se quella che stiamo combattendo è anche una guerra culturale – e se sulla cultura dei magistrati in materia di terrorismo islamista la storia recente ci insegna che sarebbe bene investire a più non posso – è difficile uscire rincuorati dalla lettura di un documento significativo: il programma 2016 del centro di formazione curato dalla Scuola superiore della magistratura, al cui funzionamento concorrono ministero della Giustizia e Csm. Numero di corsi previsti per il 2016: 93. Numero di corsi dedicati al terrorismo: uno, genericamente indicato con la formula “contrasto del terrorismo fra repressione e prevenzione”. Se battaglia culturale deve essere, prima di pensare ai campetti da calcio forse Renzi dovrebbe partire anche da qui.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.