Giuliano Pisapia (foto LaPresse)

Due cose facili facili sul centrosinistra a Milano

Marco Alfieri
Qualche anno fa un banchiere intelligente e di lungo corso, con robusto pedigree politico alle spalle, Roberto Mazzotta, mi disse che il vero delitto di Tangentopoli fu quello di aver distrutto le “fabbriche” della politica.

Qualche anno fa un banchiere intelligente e di lungo corso, con robusto pedigree politico alle spalle, Roberto Mazzotta, mi disse che il vero delitto di Tangentopoli fu quello di aver distrutto le “fabbriche” della politica. I luoghi, i partiti, le scuole dove si imparava l’arte e si selezionava una classe dirigente degna di questo nome.

 

L’altro giorno quella frase mi è tornata in mente osservando il pollaio polemico nel centrosinistra milanese in vista del voto di primavera. Facendomi violenza ho provato a documentarmi ma confesso di continuare a non capire due cose molto semplici.

 

Prima cosa. Quale senso attribuire alle primarie. Ho sempre pensato che la loro funzione fosse quella di selezionare il candidato migliore per vincere le elezioni; uno strumento più trasparente della classica decisione presa nelle segreterie di partito. Se però si fanno mitologia, se diventano un esercizio di narcisismi e identità o peggio un modo per regolare conti interni al proprio orticello, tutta la vita i segretari che arrivano e impongono un nome per tutti. Ad esempio nell’intervista che Pierfrancesco Majorino (assessore Pd candidato alle primarie dallo scorso giugno) ha rilasciato ad Alessandro Gilioli dell’Espresso, questa idea di puro buon senso per chiunque faccia politica, non sembra minimamente contemplata. A precisa domanda “Tu ti sei occupato del sociale e sei considerato il candidato del sociale. Sei sicuro che in una città competitiva e un po’ tecnocratica come Milano questo basti per vincere?”, la risposta di Majorino è sibillina e surreale (“non mi pongo la questione: occuparsi del sociale è una priorità e un dovere morale indipendentemente dal fatto che porti voti o no. Se uno di sinistra non si occupa del sociale, non si capisce perché è di sinistra...”), condita con la solita retorica da baci Perugina (“le primarie saranno un’occasione positiva di partecipazione…e sono convinto della bellezza del conflitto libero e popolare in una competizione”). Invece un dirigente di partito, tanto più con esperienza di governo cittadino (e Majorino, a detta di molti a Milano, è un bravo assessore), ha il dovere di chiedersi prima di scendere in campo se il suo profilo sia competitivo per vincere palazzo Marino, non la partitella a sinistra. Altrimenti siamo alle solite, al meglio perdere che perdersi. Contenti loro!

 

Per vent’anni il centrosinistra a Milano si è abbeverato nel mito della diversità antropologica anti berlusconiana e della società civile post Tangentopoli, ha sempre perso le amministrative senza esprimere candidature all’altezza - Nando Dalla Chiesa (1993), Aldo Fumagalli (1997), Sandro Antoniazzi (2001), l’ex prefetto Ferrante (2006) -, e quando ha vinto, nel 2011, lo ha fatto nel momento del suicidio del centrodestra grazie a un borghese di sinistra (e garantista) che non ha spaventato i moderati milanesi come Pisapia.

 

[**Video_box_2**]Seconda cosa. Fa sorridere lo stupore (e il fastidio) per l'interventismo roman-renziano, le accuse di attentare all’autonomia e alla peculiarità ambrosiane. I dirigenti del centrosinistra milanese è dalla scorsa primavera che “fanno ammuina”, rilasciano interviste, propongono e bocciano candidati, si producono in tatticismi esasperati da king-maker alle vongole. Come i ragazzini che giocano a calcetto con la maglia di Messi e Ronaldo, scimmiottano partite che gli passano palesemente sopra la testa. In una stagione politica in cui soffia forte il vento populista e antisistema (Salvini e Grillo), in cui il centrodestra è in piena convulsione, in cui il Pd alle ultime Europee è stato letteralmente miracolato dal ciclone Renzi e in cui il voto amministrativo del prossimo anno, con tutte le grandi città italiane alle urne, assumerà inevitabilmente un significato nazionale, è così strano che il premier nonché segretario nazionale voglia metterci becco? Dov’è la notizia? In politica i vuoti si riempiono e le influenze si espandono finché non trovano argini e contrappesi all'altezza. Siamo all'abc e proprio chi fa politica dovrebbe saperlo, direbbe il buon Mazzotta.

 

Post scriptum. Personalmente non so se il candidato giusto a sostituire Pisapia e a sfidare le altre forze politiche sia quello di Renzi (Giuseppe Sala), quello di Pisapia (Francesca Balzani) o qualcun altro che potrebbe spuntare, so solo che il modo in cui il centrosinistra a Milano si sta muovendo non sarebbe stato semplicemente contemplato quando c’erano ancora le “fabbriche” della politica...