Balzani. Cosa c'è dietro un look perfetto da antropologia anti-renziana
Milano. Come in certe serie fantasy, che hanno molte puntate per tirarla in lungo prima di chiarire se l’eroina di turno è una Giovanna d’Arco o una dark lady, i milanesi ancora non hanno ben capito chi sia, Francesca Balzani: la Biancaneve (copyright innamorato di Gianni Barbacetto) che Giuliano Pisapia ha portato fino a Roma, per farla conoscere a Matteo Renzi. Se fosse invece la fighter di un videogame: ancora non è svelato di quali abilità e poteri disponga. Quello che si sa è che potrebbe in un colpo ammazzare Beppe Sala e tramortire il Pd. Senza cattiveria, ovviamente. Ma lo farebbe volentieri. E questo è tutto ciò che al momento i milanesi, e non solo loro, sanno di lei. Lei, assessore al Bilancio di Palazzo Marino dal 2013 e vicesindaco subentrata. Lei genovese, 49enne, avvocato tributarista e cassazionista, un marito giurista e docente universitario, tre figli, trasmigrata a Milano per motivi privati. Lei che l’assessore al Bilancio l’aveva già fatto a Genova, su chiamata dal sindaco alluvionato Marta Vincenzi. Lei che l’unica vera prova politica è stata l’elezione al Parlamento europeo con il Pd nel 2009 (45 mila preferenze, ultima eletta della sua circoscrizione). A Strasburgo ha però fatto bene: nel 2012 è stata la seconda donna nella storia a essere nominata Relatore generale al bilancio dell’Unione europea.
A Milano è arrivata al grido di “sistemiamo i danni lasciati” dalle giunte precedenti, anche se va notato che il vero buco di bilancio di Milano erano i derivati, la cui ristrutturazione è iniziata ad opera di Letizia Moratti e del “manager” (dispregiativo) Giuseppe Sala. Balzani ha stretto un po’ la cinghia, ma senza una vera spending review. Le sue idee di amministrazione positiva hanno un occhio di riguardo per l’immagine. Come il varo del “Bilancio partecipativo - Conto, Partecipo, Scelgo”, che assegna milioni di euro del Comune ai progetti proposti dai cittadini. O il “baratto amministrativo” reso possibile dallo Sblocca Italia, che Milano è stata la prima grande città a introdurre: tempo e lavoro socialmente utile in cambio di sgravi fiscali. L’efficienza ambrosiana del benecomunismo, il fiore all’occhiello di Pisapia. Ma su tutte le altre grandi partite, dalla quotazione in Borsa del “bancomat” Sea, alle dismissioni, ai grandi investimenti pubblici la “mano invisibile” economica dell’amministrazione non s’è vista.
Francesca Balzani ha un presunto handicap, è poco nota a Milano. Però possiede alcuni di quegli a-tout che piacciono a sinistra. L’understatement da borghesia delle professioni, i capelli rapati corti, alla maschietto, le camicette bianche e le scarpe basse: il look perfetto dell’antropologia anti-renziana, quella necessaria per piacere nei salotti di Milano centro. Relazioni politiche tutte sorrisi e buona educazione – non un comandante litigioso come Ada Lucia De Cesaris, che infatti alla Giunta ha detto addio – ma un tono acidino, o acerbo, nelle dichiarazioni pubbliche che manda in visibilio i giornali (Sala? “Molto vintage”). Ultimamente sparge a piene mani ideali di buona politica e uno spirito spericolato: buttarsi nelle primarie? “Un bel respiro profondo e quella buona dose di incoscienza”. Anche se in Liguria, dove appoggiò Cofferati contro la Raffaella Paita, s’era chiamata fuori da ogni possibile candidatura (“Ho ancora molto da lavorare qui a Milano: una città che sta attraversando un momento di difficoltà”).
Balzani è un’indipendente, non ha tessera del Pd, dentro cui però vanta buoni rapporti con Andrea Orlando e Debora Serracchiani (Enrico Letta è una stella tramontata). E il suo profilo è tutto tecnico, sulla politica zoppica. Al momento ha solo la bandiera della “continuità” di cui le ha fatto dono Pisapia: “Abbiamo profondamente cambiato la città. Penso alla mobilità sostenibile, all’attenzione per i più deboli, alla riduzione del consumo del suolo, al risanamento dei conti”. In attesa di vedere quanta di questa eredità politica Sel e l’ex area arancione-civile vorranno condividere con lei, e non ad esempio con Pierfrancesco Majorino, assessore al Welfare che una sua popolarità nella sinistra ce l’ha ed è stato il primo a candidarsi.
La caratura politica, per fare il sindaco, è una cosa che conta anche per lei, che pure dice di Sala che “non ha la scintilla”. (“Più che la scintilla, qui a Milano si dice che serve il bernoccolo per la politica, e non pare che lei ce l’abbia”, commenta un anonimo, illustre osservatore di Palazzo Marino). Avrà tempo (ma non troppo, le primarie sono il 7 febbraio) per rivedere certe aggressività da sciuretta rivolte agli avversari, “non siano primarie da quattro salti in padella, apri la busta e trovo il candidato di partito”, “non è facile trasferire un buon manager in politica. Basta pensare a Corrado Passera”. La conclamata avversione ai “manager”, al mondo del business, è un bizzarro cortocircuito. Lei, ad esempio, è stata allieva di Victor Uckmar, tributarista di fama internazionale, un luminare che ha passato la vita a provare a far pagare meno tasse possibili ai ricchi. E’ stata nella Fondazione Cassa di Risparmio di Genova, non una onlus di Bergoglio. Perché questi, agli occhi del popolo delle primarie, siano medaglie sul petto, e invece essere stato un Tronchetti Provera boy e un manager della giunta Moratti sia un’offesa alla classe operaia, è uno di quei tombini concettuali in cui la sinistra cade sempre. Marco Vitale, economista intellettuale e gran conoscitore di Milano, che la trova personalmente “simpatica”, ha detto in proposito “che l’inizio della campagna elettorale della Balzani mi ha lasciato perplesso. L’ansia di distinguersi da Sala l’ha portata a dire delle sciocchezze”. E tra le sciocchezze indica proprio il tabù della “discontinuità” che Sala rappresenta.
[**Video_box_2**]Sono cose su cui Francesca Balzani dovrà prima o poi iniziare a ragionare. Innanzitutto, la storia della continuità. Che idea di città ha la Balzani? Lei che da assessore al Bilancio a bocciato la Metropolitana 4, preferisce le ciclabili. Lei assessore di una giunta che sta auto-affossando, sulla spinta dell’estrema sinistra, il progetto sugli scali Fs, storia di questi giorni. Poi, soprattutto, la partita politica. Con Sel, e la benedizione di Pisapia, Balzani prima di scendere in campo sta provando a far rinunciare Majorino; intanto vede Stefano Boeri, tanto per capire. Insomma prepara il terreno per un uno contro uno con Sala. Pisapia continua a ripetere che la sua scelta non è contro Renzi, è solo contro Sala a Milano. Ma anche un cieco vede che, se sarà Balzani-Sala, sarà un plebiscito pro o contro Matteo Renzi fra meno di centomila addict della sinistra. Dario Nardella, sindaco di Firenze, venerdì ha detto: primarie sì, “purché non diventino un regolamento di conti romano”. Romano forse no, basta fermarsi a Porta Romana.