Alfio Marchini (foto LaPresse)

Sindaco di Roma anche no. Come fuggire una candidatura e vivere felici

Marianna Rizzini
La candidatura al Campidoglio è una cosa che solo a nominarla fa rabbrividire i possibili protagonisti della corsa, eccezione fatta per Alfio Marchini, Stefano Fassina e per Francesco Storace, l’autocandidato “new entry” (si fa per dire).

Roma. In teoria è uno di quei treni che passano una volta sola, l’occasione da non lasciarsi scappare, la sliding door che ti cambia la vita. In pratica, è come fosse peste da evitare, scocciatura da aggirare, punizione divina da scongiurare, spada di Damocle che pende sulla testa di chi potrebbe essere utile sul cosiddetto “territorio”. Stiamo parlando della candidatura a sindaco di Roma, una cosa che solo a nominarla fa rabbrividire i possibili protagonisti della corsa, eccezione fatta per Alfio Marchini, l’autocandidato che tutti volevano e non possono più desiderare, per Stefano Fassina, l’autocandidato che a volerlo è già scommessa col destino, e per Francesco Storace, l’autocandidato “new entry” (si fa per dire) che vuole le primarie a destra. E almeno prima – ai tempi di Ignazio Marino sull’alto scranno del Campidoglio – ci si poteva illudere di avere tempo per pensarci. Della serie: sì, le elezioni a Roma ora sembrano un problema ma poi vedremo; sì, non sappiamo chi metterci ma troveremo qualcuno; sì, c’è il rischio di impelagarsi in guai grossi ma vuoi che in due anni non ci venga in mente la soluzione? E invece, nelle sacche di Mafia Capitale e della caduta del sindaco marziano, il pasticciaccio della candidatura a Roma è diventato la questione non procrastinabile, non liquidabile e non sottovalutabile. E la palla avvelenata della “nomination” a candidato sindaco di questo o quel partito passa di mano in mano con orrore (“e chi me lo fa fare?”, è il retropensiero del povero candidato presunto, tanto più che gli ultimi sindaci di Roma non hanno avuto grande successo di pubblico).

 

A destra si era sperato a un certo punto che sciogliesse la riserva Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia che in ottobre era balzata in cima a un sondaggio Datamedia per il Tempo, ma Meloni, inizialmente possibilista, adesso pare nicchiare. E se Beatrice Lorenzin, ministro della Salute di Ncd, era stata sondata come possibile candidato in quota “partito unico della nazione”, la sua risposta ha gelato i centristi speranzosi: no grazie, ho altro da fare. Poi ci sono quelli che devono apparire motivatissimi per forza, ma che sotto sotto preferirebbero saltare un giro del gioco dell’Oca e andare direttamente alla casella “elezioni politiche” (vedi i Cinque stelle, anche se non in modo uniforme: per un Alessandro Di Battista che, dopo l’ultimo sondaggio favorevole, dice al Fatto che ora il M5s può “dettare” l’agenda anche se prima “deve vincere a Roma”, c’è un duo Grillo-Casaleggio più defilato. Non è detto infatti che “vincere a Roma” sia la soluzione migliore per i grillini, vista l’alta possibilità di ritrovarsi faccia a faccia con gli intoppi che di solito cadono sul tavolo dei tanto vituperati politici tradizionali).

 

[**Video_box_2**]Ma è nel Pd che l’idea di dover trovare un candidato sindaco, specie dopo il caso Marino, scatena reazioni di sicura riluttanza. E ci si mette pure l’incubo delle primarie, altro appuntamento con il fato che si preferirebbe ritardare il più possibile, al punto da renderlo superfluo. E insomma in questi giorni il già riluttantissimo Roberto Giachetti, nome storico delle lotte radical-pannelliane e vicepresidente della Camera renziano sui generis (per scioperi della fame e linea sui “diritti”), si è trovato di fronte a un mezzo fatto compiuto: Debora Serracchiani, vicepresidente pd, ha fatto l’endorsement su SkyTg24. E lui, Giachetti, che alla Leopolda era stato visto abbracciare Matteo Renzi con il Campidoglio come sfondo, ma che finora diceva “no, grazie” o “mai partecipato a una gara per perdere”, ieri veniva dato da Repubblica come rassegnato al peggio (“Non potrei dire no a Matteo”, era la frase dell’ipotetica conversione. Ma il retropensiero poteva benissimo essere: speriamo che alla fine Renzi scelga il prefetto Gabrielli). E però anche lì vai a sapere: mediatico è mediatico, il prefetto, ma non più di tre settimane fa ha detto: “Non farò mai il sindaco di Roma”. Preferirebbe infatti fare il capo della Polizia, “se le condizioni dovessero verificarsi”. E nel gioco dell’Oca su Roma si torna al via, senza avere neppure un premio sicuro in palio.

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.