Come cambiare l'Europa senza essere costretti a giocare la solita partita “Italia-Germania”
Al direttore - Viste le polemiche di questi giorni su alcuni temi al centro dei rapporti tra Italia, Unione europea e Germania in particolare, viene naturale pensare all'importanza di allacciarsi le cinture di sicurezza. I più ottimisti ci vedranno l’occasione invece per una nuova dinamica politica. Conviene però ragionare sulla direzione di marcia altrimenti aumentano i rischi di andare a sbattere. Alcune considerazioni.
La prima riguarda il centrosinistra europeo. Le diffuse difficoltà di questa parte politica in tanti paesi d’Europa possono essere un alibi, ma parziale. Non ce ne siamo accorti, forse, ma all’interno del Consiglio europeo il Partito popolare europeo (Ppe) e i Socialisti e Democratici (Pse) hanno ciascuno 9 capi di governo, 7 i liberali, 2 i conservatori, uno la Sinistra del Gue. Il Partito dei socialisti e democratici inoltre è in governi di coalizione sia come senior che come junior partner. Insomma, non è poca cosa. L’organizzazione VoteWatchEU ha messo questa composizione in relazione al peso dei singoli paesi nella ponderazione dei voti (cosa che avviene in sede di Consiglio dei ministri, ma nella pratica mai in sede di Consiglio europeo). In questo caso il Pse ha (o avrebbe teoricamente) un “peso” pari al 34,7 per cento, il Ppe il 34,4, i Conservatori il 20,2, i Liberali l’8,5, il Gue il 2,1. Naturalmente il modus operandi del Consiglio europeo è all’unanimità. Inoltre, la linea è dettata da posizionamenti nazionali piuttosto che politico-partitici (fare la sintesi tra laburisti olandesi e socialisti portoghesi non è semplicissimo). Il Pse dunque, pur essendo di poco “il primo partito”, in sede di Consiglio europeo può incidere solo nella misura in cui tesse alleanze e in parallelo promuove e mantiene un suo profilo programmatico. Nella parte economica in particolare è schiacciato – oltre che dalle assai diverse sensibilità interne – da una prevalenza del fronte dell’austerità che va dal Ppe ai Liberali ai Conservatori o almeno nelle loro componenti principali.
Alleanze e programmi del Pse dipendono da quanto i leader nazionali dei suoi partiti intendono spendersi per arrivarvi seguendo un percorso comune. Per questo ci vuole continuità di azione.
La seconda considerazione da fare riguarda l’approccio in generale. L’essenziale è percorrere nuove vie e non rifugiarsi nel giardino di casa o in quello del prossimo. In altre parole, occorre agire ad ampio raggio e non rinchiudersi nella dimensione del “sud contro il nord” o tantomeno nell'illusione di essere gli interlocutori privilegiati del più forte (c’è sempre un interlocutore che sarà più privilegiato). Il punto infatti è se si è credibili non per un unico interlocutore, ma come soggetto politico europeo, all’interno del quale il Pd può esercitare un ruolo ancor più decisivo, come promotore di una dinamica complessiva. Mi pare questo il senso che può assumere l’azione di Renzi in questa fase, in continuità con quanto avviato a inizio della legislatura europea (flessibilità e Piano Juncker su tutto). La partita che si gioca non è “Italia-contro-Germania” ma quella del futuro dell’Unione. Non siamo al secondo tempo né ai supplementari, ma certamente dal centrosinistra europeo si aspettano più proposte. Sui programmi e sulle idee è importante cercare strade nuove e nuove sinergie. Il filone resta quello del rispetto delle regole date e dei loro margini di flessibilità come condizione per un rilancio e una nuova fase. Occorre quindi sgombrare il campo dall’equivoco – la bandiera della mutualizzazione del debito ha fatto il suo tempo, per quanto non sono poche le evidenze economiche e politiche (comprese elaborazioni fatte in Germania, dal Consiglio degli economisti al Glienicker Gruppe) a suo sostegno. Ma forte è l’esigenza di continuare e far fare un salto di qualità quanto prima alla mutualizzazione del rischio per gli investimenti. Lo si fa già, col piano Juncker e nel quadro dell’assistenza macro finanziaria alla Grecia, ma in misura troppo ridotta. Lo si può fare cercando forme originali di finanziamento a beni pubblici europei. Non mancano le elaborazioni in questo campo, basti pensare alla proposta congiunta Gabriel-Macron di un fondo per i rifugiati (proposta eccepibile per alcuni aspetti, ma che comunque è una iniziativa politica interessante). Si è parlato in passato di Erasmus Bond, e cioè di titoli legati al finanziamento del programma più noto dell'Unione. Il Pse ispirandosi al tema “un euro per la sicurezza, un euro per la cultura” ha iniziato a discutere di un piano Marshall per i giovani europei. Le idee non mancano. Comunque sia, la solidarietà va indirizzata verso il futuro. E’ su questo terreno che la sinistra europea può recuperare identità e compattezza al di là delle differenze nazionali. O si riesce a far percepire sempre più dai cittadini che l’Unione è una Unione delle politiche, oppure l’euroscetticismo è destinato a crescere.
[**Video_box_2**]Terza considerazione. Ci vuole coraggio anche nell’affrontare due temi che nel medio termine potrebbero segnare l’agenda europea ben più dei giudizi sulle leggi di stabilità nazionali. Uno è il tema del bilancio dell’Ue nel suo complesso, l’altro quello del completamento del sistema di governo dell’euro. Entrambi determinano la capacità di policy making europeo, dunque il suo futuro. Il finanziamento del bilancio comunitario sarà rivisto alla luce del lavoro di un gruppo di esperti presieduto da Mario Monti. Al di là dei risultati del gruppo, sarà ovviamente decisiva la volontà politica di cambiare o di continuare con l'assetto vigente. Non fa forse parte di un progetto di cambiamento del modo di essere dell’Unione, l’idea di sostituire gradualmente il complicato meccanismo attuale di trasferimenti di riforme dai bilanci nazionali, con risorse derivate dal mercato interno, e cioè da una dimensione veramente europea? Vogliamo trovare un modo per rottamare il solito mercanteggiamento per trovare risorse nazionali per il solo 1 per cento del pil europeo che costituisce oggi il bilancio comunitario? Se l’Unione oggi è percepita piuttosto come un intreccio di vincoli e regole che non come un fattore di crescita non c’è qui un nodo decisivo? E questo, paradossalmente, nonostante quell’un per cento di pil europeo destinato al bilancio Ue sia già oggi per il 95 per cento speso in politiche. Sulla riforma del governo dell’euro: ne fa parte il completamento dell’Unione bancaria di cui si è discusso in questi giorni per la garanzia depositi. Il punto qui è come far partire una dinamica diversa da quella attuale. L’attuale è quella che prevede in un futuro sfuocato per il dopo 2017 la realizzazione di strumenti essenziali per una unione delle politiche, a partire da un bilancio dell'Eurozona. Nel lungo periodo siamo tutti morti. A volte il lungo periodo è dannatamente breve. Vedi sopra.
Infine, la prospettiva di nuovi allargamenti (Balcani) e le dinamiche messe in moto noi malgrado dal referendum britannico obbligano a anticipare una riflessione sugli assetti istituzionali e sulle strutture di governo. Se deve essere aperta una nuova fase politica, allora occorre anche ripartire da una critica al metodo dell’Unione che ha caratterizzato questi anni, e che pure ha permesso di superare situazioni di emergenza, mettendo al centro di tutto il Consiglio europeo. E’ tema da trattare con cautela e attenzione. Non ci sono posizioni definite. Mi limito qui a due soli aspetti. Il più importante è la difesa della dimensione parlamentare, nelle materie dove già è forte, e il suo rafforzamento dove invece è ancora relativamente debole. Un ulteriore aspetto è la diarchia Presidenza della Commissione-Presidenza del Consiglio europeo. Anche in questo ambito non mancano le elaborazioni. Niente impedisce, in prospettiva, una fusione, neanche con questo trattato. Sarebbe un cambiamento profondo.
Marco Piantini è consigliere della Presidenza del Consiglio