Podemos o non podemos? Loro sì e noi no
TODOS PODEMOS?
Promuoviamo Podemos (voto 8). Perché le differenze esistono. Perché sotto il mantello del pensiero unico, da Bruxelles alle banchette di provincia si sono commessi crimini e peccati, perché una parte della “gggente” è incazzata davvero (un terzo, un quarto, un quinto? sempre di milioni di donne e uomini si tratta). E fra i tanti modi di essere diversi quello di Podemos non è peggiore di altri, anzi è decisamente meno pericoloso delle altre forze antistema e anti casta spuntate fuori negli ultimi anni. Amici e amiche di Valencia e Barcellona giurano che sono giovani, casinisti, allegri, come si dice a Roma “glie va tanto de parlà” ma lo fanno senza iattanza e senza volgarità. Poi dalle loro parti non c'è il gusto rancido del paleo comunismo alla greca. E visto lo stato comatoso del Psoe c'è pure qualche probabilità che in capo a un lustro diventino il principale partito della sinistra spagnola.
Si è presentato per la prima volta alle elezioni politiche, domenica, dopo aver ottenuto discreti successi alle europee e alle amministrative: ha preso più di cinque milioni di voti e conquistato 69 seggi sui 350 del parlamento. Certo è pur sempre arrivato terzo, dietro i partiti tradizionali, anche se appena qualche mese fa i grandi giornali, a cominciare da El Pais fratello di latte di Repubblica, li davano addirittura in testa, davanti popolari e socialisti. Il bipolarismo che aveva retto la Spagna nel dopo Franco è comunque saltato e nella situazione attuale diventerà laborioso persino formare un governo.
Il leader del movimento, il trentasettenne Pablo Iglesias Turriòn, porta la coda di cavallo e ha una faccia da simpatico cazzaro ma è temibile performer televisivo (voto 8). Così Inigo Errejòn Galvàn, ex boy scout: trentatre anni, faccia da ragazzino, ha il curriculum del perfetto militante dell'estrema sinistra, ha partecipato alla contestazione del G8 a Genova e ai successivi meeting contro la globalizzazione, ha firmato il manifesto di Tenerife, atto di nascita degli ecologisti spagnoli, ovviamente è stato indignado e oggi è responsabile della politica, della strategia e delle campagne elettorali di Poodemos, di fatto il numero 2. Passa anche per essere un po' la mente del partito, è autore di saggi sui movimenti populisti in America latina, su Hugo Chavez ed Evo Morales “come fonti di pedagogia politica”, il che non è molto confortante. Sono però pragmatici, geneticamente disposti a fare accordi e compromessi, anche se per ora non si vede su cosa e con chi. Non fanno in ogni caso la scelta onanista dei Cinque Stelle.
Nel calderone di Podemos bolle molto anticapitalismo viscerale, ostilità nei confronti delle multinazionali, l'insofferenza per l'Impero americano. Hanno come inno la colonna sonora di un film di cassetta americano sugli acchiappa fantasmi ma hanno celebrano la vittoria cantando per quasi quattro minuti con il pugno chiuso quell'immane rottura di palle degli Inti Illimani che è El pueblo unido ecc. Cose contro cui noi siamo per fortuna vaccinati: la musica andina, “una noia mortale che da anni si ripete sempre uguale”, grazie Lucio Dalla (voto 10 e lode).
Il programma è un patchwork tra le ubbie del millennio e la nostalgia per le politiche keynesiane dei trenta gloriosi, dal dopo guerra al primo choc petrolifero del 1974 quando la crescita era sostenuta e si poteva spendere in deficit: controllo pubblico delle banche, Tobin Tax sulle transazioni finanziarie, tetto massimo alle rate dei mutui immobiliari, reddito minimo garantito e infine l'obbligo di referendum popolare sulle questioni più importanti. Pericoloso ma non più delle famose 276 pagine del programma del governo Prodi- Bertinotti. E poi si sa i programmi sono fatti per essere amputati.
TODOS NON PODEMOS
Sembra che sinistra e destra italiane coltivino una vera passione per le culle degli altri. Un tempo era l'Italia il laboratorio politico dell'Europa. Ora siamo noi a cercare ovunque ricette salvifiche, senza fare mai i conti con la realtà, senza che nessuno si ritiri a vita privata o si faccia definitivamente da parte. La sinistra che fu presa d'incantamento per Syriza, ha dovuto masticare amaro per i salti mortali con cui Tsipras una volta al governo ha smentito se stesso ma per le Barbare Spinelli e i Curzi Maltesi (rimandati alla prossima legislatura) della lista “Italia con Tsipras” è come se non fosse successo nulla. L'attenzione per l'inglese Jeremy Corbyn, nuovo leader del Labour, è scemata in fretta, troppo grigio e lontano il riferimento. Anche a destra non si scherza. Salvini è andato per Scozie e Catalogne prima di mettersi al fianco delle giovani sovraniste francesi aduse schiantarsi regolarmente contro il maggioritario a doppio turno.
Podemos è roba di sinistra. Ma sono gli omologhi italiani che proprio non vanno. Gli spagnoli si sono rafforzati movimento dopo movimento, con nomi evocativi e con un certo appeal, 15M, las mareas, le marce della dignità. I nostri sembrano tristi anche quando manifestano, vecchi, mai un guizzo, mai una scintilla. Fassina e Vendola sono al primo passo e già inciampano sul nome da dare all'eterna cosa rossa (voto 3). Landini il movimento sociale che voleva costruire (come se si potesse “costruire” un movimento sociale) se l'è perso per strada, (voto 3). E poi c'è Pippo Civati. Furbescamente s'è appropriato per tempo del marchio: “Possibile”. La civatiana Beatrice Brignone (deputata di Senigallia, voto 7 a prescindere, per adolescenziale affezione ai luoghi) ha detto che la vittoria di Podemos è di buon auspicio per Possibile. E che si sentono così in sintonia con il nuovo che avanza dalla Spagna che tra di loro si chiamano,scherzando?, ulivos.
DOVE C'E' GABBIA C'E' GAIA
I Cinque Stelle a dire il vero sono in altre faccende affaccendati. Vogliono vincere a Roma, insediarsi in Campidoglio, considerato test decisivo per poi puntare al governo del paese. Lo ha detto il guru triste, Gianroberto Casaleggio (voto 4). I candidati verranno scelti dai militanti romani via web, in caso di vittoria il territorio di Roma sarà diviso in dieci zone d'intervento e sarà lanciata una consultazione popolare, si presume anche questa in rete, in modo che siano i cittadini a decidere da quale iniziare. Mai la democrazia diretta darebbe dimostrazione di così tanta futilità: almeno i rivoluzionari, il popolo e i suoi tagliatori di teste, non si nascondevano dietro l'anonimato del voto in rete.
Più interessante l'altra idea del Casaleggio: punire i corrotti rinchiudendoli in gabbie sospese e messe in bella vista nelle periferie e nelle circonvallazioni urbane. Non sa che per ogni Brancaleone da Norcia rinchiuso in gabbia e sospeso alle mura del castello, ci sarà sempre un fabbro, un ladro, un saltimbanco, un Capannelle disposto a tirarlo fuori da lì. Si può ambire a governare gli italiani senza nemmeno conoscere le immense verità che sulla nostra natura, sul nostro carattere rivelarono i Risi, i Monicelli (voto 10 e lode)?
FIOR DI MINISTRO
Non lo abbiamo mai visto perdere il controllo o dare la voce né mai sentito parlare sopra le righe. Pier Carlo Padoan (voto 9) si esprime sempre con il tono pacato, magari un po' pedante, dei grand commis addetti a numeri e conti. Ma è un ruolo che svolge come dio comanda. E a differenza di Giulio Tremonti o di un Brunetta, senza mai pretendere di voler dare lezioni al prossimo. Nell'intervista al Foglio, gli si perdona anche qualche anglicismo ché le cose che ha da dire le dice chiaramente, sulle responsabilità dell'Unione Europea o della cancelliera Merkel. Invece di andare a vedere ogni giorno quanto Renzi stia gonfiando i bicipiti, dovremmo fidarci di questo signore tranquillo che sa. E perciò non insegna ma fa.
FIOR DI RADICALI
Voto 10 a Pannella e a tutta la sua banda. Voto 10 a Roberto Giachetti, radicale prestato ai dem o vicerversa. Ci vuole grande passione e tanto pelo sullo stomaco per passare l'ennesimo Natale a visitare carceri e detenuti, sapendo di che è fatta la politica in Italia. Però passano per manovrieri, pragmatici, inclini al compromesso, in questo molto diversi dagli iattanti e solipsisti Cinque Stelle.