Silvio Berlusconi (foto LaPresse)

Exit strategy berlusconiane

Ritirarsi con onore? Sarebbe una mossa da politico, e il Cav. non lo è

Salvatore Merlo
“Uno ‘normale’ avrebbe colto l’occasione del patto del Nazareno”, dice Giuliano Urbani, vecchio amico

Roma. “Berlusconi non può uscire di scena con ‘grandeur’. Gli è impossibile. E’ più forte di lui. Io lo conosco. Quella di sapersi ritirare è una mossa politica, e lui semplicemente non può fare il politico. Guardi, non saprebbe nemmeno da dove si comincia”. E Giuliano Urbani, settantotto anni, professore, ex ministro nel 1994, fondatore di Forza Italia, ironicamente si esercita in un paradosso, ma neanche tanto. Di Silvio Berlusconi parla con quell’affettuosa libertà che possono concedersi soltanto i vecchi compagni d’armi, una cosa a metà tra la familiarità dei collegiali e quella dei reduci, per metà cameratismo e per metà complicità di rimembranze: “Non si può guarire da se stessi”, mormora. “Il Cavaliere è nato impolitico, la sua impoliticità è stata la chiave del suo successo, e adesso l’impoliticità è in tutta evidenza anche la chiave della sua rovina”. Tanto per capire: ma un politico che farebbe, al posto del Cavaliere? “Un politico di quasi ottant’anni, e con una storia incredibile come quella di Berlusconi, non avrebbe rotto il patto del Nazareno, ma ci avrebbe visto una via d’uscita onorevole: toh, guarda, c’è un ragazzo che sta a sinistra, che ha rottamato i miei nemici, e che non mi sputacchia addosso. Uno che posso anche far finta che sia il mio erede”. Ma questo l’avrebbe pensato un politico. “E Berlusconi è altro”.

 

E allora Urbani tratteggia il profilo del Cavaliere, in grandi dettagli che non ammettono fusioni: “Con straordinario successo lui ha confuso il personale con l’istituzionale, il partito con la leadership, e ha dunque trasformato per sempre i codici e la grammatica dell’Italia parlamentarista e in grisaglia, l’Italia bizantina della Prima Repubblica, costringendo tutti, amici e nemici, ad adeguarsi ai suoi propri ritmi e al suo linguaggio diretto e televisivo, al suo marketing e alle sue fortunate follie. E così, più impresario che statista, ha costretto ciascuno degli altri attori sul proscenio a cambiare, a ristrutturarsi: prima i suoi alleati, i fascisti e i leghisti, poi persino i suoi avversari, addirittura i comunisti, che da Enrico Berlinguer sono arrivati, pensate un po’, a Matteo Renzi”. E tutto questo, dice Urbani, è stato possibile perché Berlusconi ha raso al suolo la politica, ne ha fatto altro: dalla rappresentanza alla rappresentazione, plastilina nelle sue immaginose mani. “Precipitando poi, tuttavia, sempre nello stesso genere di errore. Errore da impolitico, appunto”. E quale errore? “Quello di reificare sempre le sue speranze, cioè di pensare sempre, di dare sempre per scontato, che il suo desiderio e il suo sogno corrispondessero a una realtà. Credeva che Alfano fosse un placido e paziente maggiordomo, credeva che Fini fosse tutto sommato innocuo e pavido, e a un certo punto si è talmente convinto che Renzi fosse il suo successore da esserci rimasto male, malissimo, perché quello invece faceva di testa sua e ha voluto pure cogliere l’occasione di eleggere Mattarella al Quirinale. Ma non era ovvio che avrebbe voluto fare una cosa del genere? Solo un impolitico come Berlusconi non riesce a capirlo, né a perdonare Renzi”.

 

[**Video_box_2**]La mette sul personale. “Fa sempre un pasticcio di ogni cosa: affari, sentimenti, umori, politica… Vede, il Cavaliere ha un grande senso per gli umori di massa, ma considera il ragionamento politico come una dissipazione. Tremonti, con la sua aria d’ironica superiorità, diceva sempre: ‘Questo sa come vincere le elezioni ma poi si perde per strada il Parlamento’. E aveva ragione”. E ora? “E ora farà quello che ha sempre fatto. Proverà ad allargare al massimo la coalizione, proverà a unire tutto quello che non è Renzi. Ma i tempi sono cambiati. E con Salvini non arriva neanche al 30 per cento. Guardi, Berlusconi è coerente con se stesso. Sono gli altri a sbagliare, quelli che pensano che lui possa comportarsi come un uomo politico normale. Per ritirarsi con onore dovrebbe riaprire il Nazareno, ma è troppo tardi”. E allora? “Allora è condannato al declino. Ma la sua è stata una grande storia, una grande parabola impolitica”. Non si può guarire da se stessi. “Né far violenza alla propria natura”. E così sia.


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  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.