Tra reduci e prof., i guastafeste del “no” alla riforma Renzi-Boschi
Roma. E’ il giorno in cui la Camera approva il testo del ddl Boschi di riforma della Costituzione. E però, sotto lo stesso tetto, al di là del cosiddetto “cavalcavia” e dei labirinti deserti di Montecitorio, nell’auletta dei Gruppi parlamentari gentilmente concessa dal presidente della Camera Laura Boldrini, va in scena il controevento, la controfesta che non nasconde di voler essere guastafeste. E mentre l’ascensore scende come verso gli inferi inghiottendo Luciana Castellina e due o tre professori (o senatori), nell’auletta già brulica tutto un mondo perduto e in attesa di resurrezione. Un mondo che accorre al richiamo del Comitato per il “No” al futuro referendum d’autunno sulla riforma, appunto. C’è, nel delirio di saluti dall’aria inconsapevolmente reducistica (“da quanto non ti vedevo qui!”; “che gioia saperti dei nostri!”), il gotha di passate battaglie non sempre e non proprio vittoriose: ex arancioni, ex popoliviola, ex post-it gialli, ex Pci-Pds-Ds-Pd, ex “l’Altra Europa per Tsipras”, ex rifondaroli ora Sel, neo rifondaroli e neo Sel (Nichi Vendola intanto twitta sulla “riforma sgangherata e pericolosa”).
C’è Valentino Parlato e addirittura Paolo Cirino Pomicino. C’è il duo redivivo Antonio Di Pietro-Antonino Ingroia; il duo metallurgico Maurizio Landini-Giorgio Airaudo; il duo “Si” (non al referendum, ma nel senso della “Sinistra italiana”) di Stefano Fassina e Alfredo D’Attorre, ex pd fuoriusciti. C’è Pippo Civati che porta l’appoggio di Possibile; Giovanni Maria Flick, ex ministro e prof; Paolo Maddalena, giurista e magistrato, e Paolo Cento, anche e sempre detto “Er Piotta”. Soprattutto, ci sono i numi tutelari di ogni allarme costituzionale: Lorenza Carlassare, giurista, e Stefano Rodotà, sempre giurista nonché ex candidato al Colle, l’uomo attorno a cui ogni volta (“aridaje”, scherzano i cronisti) si coagulano le speranze dei custodi di democrazie minacciate e prof. dei Beni Comuni a cui verranno tributati copiosi applausi (scrosciano quando Rodotà dice “così si fa un passo in più verso la democrazia plebiscitaria”, quando afferma che l’antipolitica è meno peggio dell’apatia o quando ammonisce: “‘Dopo di me il diluvio’ lo dicevano i sovrani assoluti, ma se Renzi dopo il referendum si dimette la democrazia continuerà”). E se il coordinatore di “Democrazia costituzionale” e moderatore Alfiero Grandi spera che non sia così terribile l’anno della presunta “cattiva novella” (il 2016 di quella che l’avvocato Felice Besostri chiamerà anno delle “deforme” costituzionali), e che anzi i prossimi mesi portino buone novelle (altre adesioni al “no”), qualcuno, come il professor Alessandro Pace, si chiede “come sia stato possibile arrivare a questo obbrobrio”, anche attraverso “l’azzardo” di Renzi e del presidente emerito Giorgio Napolitano, altra bestia nera della riunione del niet al ddl Boschi. Si riflette, ci si conta (“abbiamo già il numero di parlamentari necessari a chiedere il referendum”, dicono dal banco della presidenza alla vista di Civati), e volentieri si trascende: perché non ripescare le vecchie proposte di sinistra-sinistra, dicono alcuni, e non proporre dal basso un’unica Camera eletta con sistema proporzionale?
[**Video_box_2**]Poi ci sono gli slogan d’allarme: “Illusionismo emotivo!” (quello veicolato da Renzi, si suppone); “svuotamento della forma di governo!” (l’idea di dover “ridare potere al Parlamento” è il collante più forte tra i partecipanti); “pulizia del linguaggio!”. La prima cosa da fare è infatti non chiamare “riforme” quelle che sono “controriforme”, e combattere contestualmente l’Italicum nonché la “tracotanza” del premier, dice Carlassare (ma i più nostalgici rimpiangono direttamente i tempi in cui di maggioritario non si parlava neppure). Atri consigli: ricordarsi che il 2016, appena iniziato e già tanto vituperato, dice Rodotà, rischia di tramutarsi “nell’anno più difficile nella storia della Repubblica” – roba che se non si sta attenti, è il monito del prof., si va dritti dritti verso “il congedo” dalla Costituzione. E quando si finisce di preoccuparsi ci si indigna: per le trivelle, per i 500 euro ai diciottenni, per la “logica” renziana nel suo insieme (il tutto con i 5 Stelle, che appoggiano senza “aderire”).