Quell'utopia degli imbecilli che dà vita all'epoca del “non ci sono alternative”
Tanto qui non ci sono alternative. Negli ultimi anni, nel mondo della politica, abbiamo sentito utilizzare questa frase un numero di volte persino maggiore rispetto all’espressione “è tutta colpa del liberismo”. E il fatto che, come si dice, “non ci sono alternative”, il fatto cioè che nessuno si voglia candidare, che i nomi buoni scarseggino, che sia così difficile trovare qualcuno disposto a gareggiare nelle grandi città e il fatto infine che in giro per l’Europa siano molti i leader che non hanno rivali credibili e comunque temibili (Cameron, Merkel, Renzi) è una delle cifre culturali e persino antropologiche della nostra modernità. Il punto è evidente. Nessuno vuole fare più politica. E nessuno vuole più fare politica non solo per le ragioni segnalate già anni fa da Pietro Nenni quando arrivò al governo nel 1962 (“Quando sono entrato nella stanza dei bottoni, mi sono accorto che i bottoni non c’erano”) ma anche per altre questioni, di natura diversa, che spiegano bene la ragione per cui la qualità media dell’homo politicus si è abbassata sotto i livelli di guardia, favorendo una straordinaria proliferazione di fenomenali incompetenze.
La prima ragione è che non sapere nulla di politica, essere dei perfetti analfabeti della cosa pubblica, non avere esperienza alle spalle, presentarsi come portavoce del popolo dove uno vale uno (anche se a volte vale un Quarto), è diventato un punto d’onore importante, quasi cruciale, in una fase in cui il generico feticcio dell’onestà tira più del carro di buoi della semplice competenza (“L’onestà politica – diceva invece Croce – non è altro che la capacità politica”). Oltre a questo però c’è qualcosa di più complesso che, se vogliamo, si trova alla base delle difficoltà che hanno i partiti a trovare candidature spendibili. La questione economica c’entra (citofonare Pisapia) e se l’élite italiana non ha incentivi ad avvicinarsi al mondo della politica è anche perché fare politica, per chi ha un mestiere redditizio, è un investimento al ribasso che può convenire in presenza non solo di una formidabile vocazione alla cosa pubblica ma anche di una grande vocazione al martirio, di una predisposizione naturale alla vita nel Colosseo.
[**Video_box_2**]Il problema riguarda soprattutto l’Italia e meno gli altri paesi europei: che stimolo può avere un potenziale politico a metterci la faccia, come si dice, a candidarsi in una grande o piccola città, a essere disponibile per un ruolo di governo sapendo che nel momento stesso in cui scenderà in campo diventerà un dead man walking, un infame da sputazzare, il capro espiatorio di tutti i problemi dell’umanità, l’oggetto dei desideri di molti pm assetati di notorietà ai quali (citofonare De Magistris) basta entrare per un secondo nelle vite degli altri per assicurarsi gloria e fama per l’eternità? Il governo degli onesti, diceva ancora Croce, è un’utopia per imbecilli ma se c’è una ragione per cui, per stare all’Italia, la concorrenza a Renzi non sembra essere irresistibile e la vocazione alla candidatura nelle città non sembra essere insuperabile è perché l’utopia degli imbecilli ha fatto breccia. Non solo grazie ai portavoce delle fregnacce a 5 stelle ma anche grazie agli stessi portavoce di una classe dirigente che (citofonare Via Solferino) dopo aver infiammato l’Italia con le banalità anti casta si meravigliano che sia presente una classe politica non all’altezza. Noi, con eleganza, reinterpretando il “Tina” thatcheriano, diciamo “non ci sono alternative”. Ma la verità è che nell’èra della politica che legittima sputazzi e incompetenze, la stanza dei bottoni di Nenni – salvo eccezioni da Colosseo – sarà destinata ad attrarre sempre con maggiore frequenza non chi può dare di più ma chi ha così poco da non avere semplicemente nulla da perdere.