Usare la giustizia come lotta di classe. Risposta a Magistratura democratica

Claudio Cerasa
L’utilizzo della giustizia come lotta di classe, caro presidente, è una delle caratteristiche della degenerazione delle correnti della magistratura e della trasformazione delle stesse correnti da luoghi di elaborazione culturale a, uso ai sensi dell’art. 8 Legge 47/1948 le parole del vostro amico Piero Tony, “ottusi centri di potere che fanno più danni della grandine”.

Al direttore - Le scrivo in merito all’articolo da lei firmato “Chissà che direbbe Montesquieu dell’ultimo colpo di genio di Md” pubblicato nell’edizione del Foglio del 14 gennaio 2015, nella rubrica lettere al direttore. L’articolo citato contiene notizie non vere. Più precisamente, lei attribuisce allo statuto di Md le seguenti frasi: “Md (cito dal suo statuto) è una ‘componente del movimento di classe’, che nasce per dare vita a una ‘giurisprudenza alternativa che consiste nell’applicare fino alle loro estreme conseguenze i principî eversivi dell’apparato normativo borghese’ attraverso ‘l’interpretazione evolutiva del diritto’”. L’affermazione non è vera perché lo statuto di Md non contiene alcuna di queste frasi, come facilmente verificabile nel nostro sito. Né, come potrà constatare, quelle frasi sono rintracciabili negli obiettivi dell’associazione che trova qui. Per il resto, posso rassicurarla che la separazione dei poteri e l’indipendenza della giurisdizione sono tra le cose che più ci stanno a cuore. Così come abbiamo ben chiara la distinzione tra partecipazione al dibattito politico, specie in materia costituzionale, e politica partitica. La seconda, può essere utile ribadirlo, non ha nulla a che fare con gli scopi della nostra associazione. Le chiedo dunque di voler provvedere, ai sensi dell’art. 8 Legge 47/1948, alla rettifica di quanto riportato nel citato articolo nella collocazione prevista dalla legge e con risalto analogo a quello riservato al brano giornalistico cui la rettifica si riferisce. La ringrazio. Cordiali saluti,
Carlo De Chiara, presidente di Magistratura Democratica

 

 

La ringrazio per la sua straordinaria lettera che ci permette di dire qualcosa in più sul tema che abbiamo affrontato ieri: la partecipazione di una corrente della magistratura (Md) a un comitato politico schierato esplicitamente contro un’altra forza politica (il governo). Il passaggio citato nella mia risposta di ieri non è dello statuto di Md, come giustamente lei mi fa notare, ma appartiene a un documento presentato anni fa, nel 1971, da tre magistrati che sono certo ricorderà anche lei: Luigi Ferrajoli, Salvatore Senese e Vincenzo Accattatis. Il documento, superbo, era intitolato “Per una strategia politica di magistratura democratica”, a proposito del fatto che come da lei segnalato la sua corrente non fa politica, e in quel documento i tre magistrati chiedevano esplicitamente di organizzarsi come “componente del movimento di classe”, per dare vita a una “giurisprudenza alternativa che consiste nell’applicare fino alle loro estreme conseguenze i principi eversivi dell’apparato normativo borghese” per lavorare tutti insieme per avviare una pratica capace di sintetizzare la voglia dei magistrati di fiancheggiare la battaglia politica con gli strumenti della giustizia: “L’interpretazione evolutiva del diritto”. Principi che, come dimostra la stessa scelta di aderire a un comitato referendario, la sua corrente ha mostrato in più occasioni di aver ben interiorizzato. Principi perfettamente sintetizzati mesi fa, su questo giornale, dal capo dell’anti corruzione, sua eccellenza Raffaele Cantone. “Non mi è mai piaciuto di Magistratura democratica il settarismo che l’ha sempre caratterizzata: l’utilizzo della giustizia come lotta di classe”. L’utilizzo della giustizia come lotta di classe, caro presidente, è una delle caratteristiche della degenerazione delle correnti della magistratura e della trasformazione delle stesse correnti da luoghi di elaborazione culturale a, uso ai sensi dell’art. 8 Legge 47/1948 le parole del vostro amico Piero Tony, “ottusi centri di potere che fanno più danni della grandine”. Lei, da un certo punto di vista, ha ragione a dire che Md ha “ben chiara la distinzione tra partecipazione al dibattito politico, specie in materia costituzionale, e politica partitica” e ha ragione per un motivo semplice: un tempo la sua corrente era una delle istituzioni attraverso le quali i partiti della sinistra italiana provavano a esprimere la loro egemonia culturale, oggi la sua corrente è più di un partito e non sarò certo io a svelarle che da una ventina di anni a questa parte è Md che ha esercitato una egemonia gramsciana sulla politica. Nulla di strano, tutto anticipato in quel documento – “Per una strategia politica di Magistratura democratica” – e tutto ben sintetizzato nella storia della vostra corrente. Vogliamo leggere? Leggiamo. “La nostra prospettiva è quella dell’attuazione della Costituzione, uno slogan intorno al quale progressivamente si vanno aggregando aree culturali sempre più consistenti e alcuni settori politici, non solo dell’opposizione: dopo un lungo periodo di congelamento della Legge fondamentale della Repubblica, forze sempre più consistenti ne reclamano la concreta applicazione. […] L’esplosione della crisi del rapporto politica-giurisdizione, i disegni di riforma costituzionale anche sul versante Pm-Csm, impongono a Md l’adozione di una linea culturale e istituzionale che viene definita di resistenza costituzionale”. Resistenza costituzionale, proprio così. E non sarò certo io a rivelarle che il partito del non si tocca la Costituzione fa qualcosa in più di un semplice movimento politico, perché – e glielo dico come direbbe sua eccellenza Raffaele Cantone – “utilizza la giustizia come lotta di classe”. A presto.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.