Il premier Matteo Renzi (foto LaPresse)

Ma quale manina. E' il mercato!

Salvatore Merlo
Così Renzi si libera del complottismo arcitaliano di Patuelli & Co.

Roma. Si è liberato del complottismo come si smette un vizio, come si depone una filosofia superata, come ci si disintossica da una droga spirituale, da un’idea dell’Italia che si affida solo e sempre al lamento e al sospetto, al penoso sciocchezzaio dei mandanti e delle forze oscure, dei gruppi economici e degli speculatori politicamente interessati, un paese che in genere crede al complotto come si crede a una bandiera: persino le partite di calcio della Nazionale in Italia sono perdute per colpa di qualcun altro, di Blatter, forse di Platini, dell’arbitro Moreno, e solo raramente per incapacità dei giocatori, o per sapienza maligna del destino. E invece Matteo Renzi ieri ha scrollato le spalle, “è il mercato bellezza”, ha detto al Sole 24 ore, spiegando così le origini e le ragioni delle turbolenze che attraversano la Borsa di Milano e che ribassano i titoli bancari in questi giorni. E in inglese, con il Guardian, ha poi allargato le braccia, come di fronte alle cose ovvie: “When the market speaks…”.

 

E dire che gliel’avevano offerto su un piatto d’argento l’estremo orizzonte della grande congiura, l’altra verità che nelle favole contorte del potere sempre sonnecchia inafferrabile da qualche parte. E ci si erano messi i banchieri, italiani ovviamente, a tratteggiare un gustoso e suggestivo parallelismo tra l’aumento dello spread del 2011, che portò alle dimissioni del governo Berlusconi, e l’aumento del rischio bancario di queste ore, individuato come elemento concertato d’una regia di destabilizzazione del governo. E c’era dunque il presidente dell’Associazione bancaria italiana, Antonio Patuelli, niente meno, che si diceva convinto di un attacco speculativo organizzato, mentre il pensiero di chi lo ascoltava già correva cinematografico alla P2, ai romanzi sull’alta finanza, alla grande burocrazia, ai servizi segreti e persino alla mafia, alla Spectre, e ai libri di Renato Brunetta. E c’erano poi gli analisti di Mediobanca a indicare la “manina”, a sventolare l’evanescente figura del manovratore occulto, dell’oscuro speculatore con ambizioni politiche, del nemico nell’ombra, come ha raccontato ieri sul Foglio Alberto Brambilla: “Perché non dovremmo essere titolati a ritenere che qualcuno stia scatenando le vendite su Mps?”. Come nei romanzi di Giancarlo De Cataldo, insomma, come quando nel 1991 De Mita accusò il banchiere Cuccia di essere dietro la grande avanzata di Mario Segni, o come quando Casaleggio racconta ieratico del Bilderberg e di Mario Monti, in Italia c’è sempre una verità scomoda, tortuosa, pericolosa, da gridare e da dissotterrare. E nemmeno i banchieri fanno eccezione.

 

[**Video_box_2**]E invece “è il mercato, bellezza”. E il fatto notevole è proprio che Renzi abbia rifiutato tutta questa paccottiglia, questa antichità biologica d’Italia che dal bandito Giuliano all’affaire Moro, fino al famoso titolo del Giornale “è stata la culona”, è per noi l’idea consolante del tranello, il pretesto delle massonerie, delle consorterie, dei mai precisati poteri forti e fortissimi, come quei “British invisibles” che per qualcuno determinarono il crollo della Prima Repubblica, un sistema che cadde – anvedi – perché questi mostruosi fantasmi desideravano speculare sulle privatizzazioni italiane.

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  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.