Un caffè con Giachetti, candidato sindaco con più nemici-amici
Roberto Giachetti ha vinto le primarie del Pd a Roma che si sono tenute domenica 6 marzo. Sarà lui il candidato sindaco dem, grazie al 64 per cento delle preferenze ottenute. Staccato, e di molto, il suo concorrente principale, Roberto Morassut. Ripubblichiamo un'intervista concessa un paio di mesi fa da Giachetti a Marianna Rizzini per capire qualcosa di più del programma politico del nuovo candidato sindaco del Partito democratico a Roma.
Roma. Si aggira di buon mattino per la città, Roberto Giachetti, vicepresidente della Camera pd e candidato sindaco con più amici tra i nemici: sua amica è Giorgia Meloni, suo amico è Guido Bertolaso, suo buon conoscente è Alfio Marchini, suoi amici tutto sommato sono anche i grillini, ché la politica, per Giachetti, pur nella “totale distanza di contenuti”, non è dire a questo o a quel Cinque Stelle “sei una piaga eversiva” – e insomma, scherzano gli osservatori, verrebbe a volte da dirgli “dì una cosa cattiva, Robbé”. Ma lui, Robbè, rimanda tutto ai futuri dibattiti elettorali, dove “sui temi, e non sulle persone, ci si scontrerà eccome”. Ed è con questo approccio che Giachetti, candidato “on the road” (il suo quartier generale “sarà la strada”, dice, dove si recherà per “aprire prima di tutto una campagna di ascolto, evitando monologhi davanti a cinquanta deportati di un circolo che alla fine se ne vanno zitti zitti”), ha deciso di pronunciare il “sì, mi candido” che per lunghi mesi aveva negato. L’ha fatto a modo suo (video dal Gianicolo e propositi da battaglia certosina, come si confà a un ex radicale abituato a lotte di fino). E se non si vedrà girare Giachetti per Roma a bordo del Ducato con cui nel 2007 si era messo a percorrere l’Italia per illustrare le magnifiche sorti e progressive del nascente Pd, andando altresì a scoprire “le vite degli altri”, quelle dei cittadini semplici, di sicuro si potrà trovare il Giachetti itinerante a Tor Tre Teste o a Torre Maura, a “trasmettere l’idea della coralità dell’impegno per la città”, e a sfatare il mito negativo della “Roma mortificata con politica romana accartocciata su se stessa” (e nei postumi di Mafia Capitale).
“Motivare”, questo è il problema che Giachetti vorrebbe affrontare andando “a prendere direttamente metaforici schiaffi in faccia da chi non ne può più, in modo da far capire al cittadino che c’è un’inversione di rotta, altrimenti a nessuno verrà mai voglia di partecipare”. Non vuole dunque che si “sottoscrivano appelli” sul suo nome, Giachetti, ma che “si metta in moto energia positiva già dal primo laboratorio delle primarie”. Oltre alla strada, anzi alle strade dei vari quartieri dove si farà vedere dalle sette di sera a mezzanotte, per poter avere anche un pubblico di lavoratori, il candidato avrà come base operativa un appartamento (non loft), e si presenterà agli elettori con una formula del tipo “buonasera, sono qui per capire quali sono i veri problemi che vorreste veder risolti entro i primi cento giorni”, al cospetto di comitati di quartiere, parroci, vecchietti, professionisti e “chiunque voglia venire”. Obiettivo: costruire una “banca dati” su cui poi scrivere resoconti giornalieri da postare sul sito www.robertogiachetti.it, dove già stanno confluendo le e-mail di gente che dà consigli, incita e si mette a disposizione. Dai social invece a volte arrivano strali al candidato renziano (ma renziano sui generis), anti-giustizialista (le carceri sono il suo pallino), per la legalità (nel 2013 fece lo sciopero della fame per l’abolizione del Porcellum), per i “diritti” e contro il proibizionismo. E anche se qualcuno posta foto di Giachetti in canottiera accostate a quelle di Massimo Carminati, l’ex digiunatore anti Porcellum adotta la linea del “disarmo unilaterale”, disarmo che vorrebbe sposare in campagna elettorale (con i Cinque Stelle, per esempio, non vuole usare l’arma “Quarto”, per promuovere dibattiti non avvelenati e non a base di “reciproci rimpalli di intercettazioni”).
Intanto, il Giachetti candidato “ingloba” informazioni, “astenendosi dallo spiattellare al cittadino quattro idee preconcette” (per ora è tutto orecchi, le linee guida seguiranno, come “risultato” e non “premessa” dell’ascolto a tappeto dei cahier de doléances dei cittadini).
[**Video_box_2**]Al primo livello di “preoccupazione” (quello per le primarie), Giachetti incassa intanto l’endorsement dei baristi del centro che lo conoscono da una vita (da quando, giovane radicale, digiunava a cappuccini). E di primarie infatti si parla, tantopiù che l’ex sindaco Ignazio Marino, dalle pagine di Repubblica, non solo respinge l’invito dal candidato (“caro Marino, primarie senza rancori se scendi in campo”), ma lancia j’accuse del tipo “primarie ipocrite”. Poi c’è Stefano Fassina, altro nemico-amico di Giachetti che due giorni fa, sull’Huffington post, ha lanciato “dieci condizioni per accettare di partecipare” alle consultazioni (esempio: condividere il punto “no allo stadio della Roma a Tor di Valle” e “permanenza della Tasi per le abitazioni di maggior valore”). Quanto agli altri nemici-amici, Giachetti, nel 2000, da capo-gabinetto di Francesco Rutelli, ha lavorato a lungo a fianco di Guido Bertolaso, nome in corsa per il centrodestra ed ex commissario straordinario per il Giubileo di cui il candidato pd aveva allora apprezzato “la capacità di mettere in piedi una struttura di lavoro straordinaria”. Di Alfio Marchini, il nemico-amico visto sul campo nelle vesti di imprenditore, Giachetti ha osservato “l’approccio” come consigliere comunale di opposizione (approccio che gli pare corretto, pur nella assoluta distanza dei contenuti). Agli amici del Pd romano, invece, il candidato dem dice “fermatevi, tregua!” ( a vedere lo spettacolo delle liti intestine, Giachetti ha infatti l’impressione che ci si trovi davanti “all’orchestrina del Titanic”). Suoi numi tutelari sono invece Francesco Rutelli e Walter Veltroni, sindaci “di straordinario valore”, dice, che hanno “contribuito a far rinascere la città” (e a giudicare dal sospiro che fa a sentir nominare W., si intuisce che il candidato Giachetti avrebbe preferito vederlo, come Rutelli, a capo di un qualche think tank per la città, più che saperlo dietro a una macchina da presa).