Il (ba)ratto
Roma. Città Eterna. Centro del mondo. Papi. Re. Santi. L’ascesa e caduta di un impero. Le pagine memorabili di Gibbon. Il disincanto magico di Flaiano. I disegni e i lampi di celluloide di Fellini. Ah, Roma. La Grande Storia. Duemila anni di gloria. C’è perfino la consolazione, in certe mattine soleggiate a Villa Borghese. Fino a quando, furtivo, felpato, inesorabile, il comico s’è spostato dal pensiero laterale per piazzarsi sul centrale, s’è impadronito del racconto e il falò del beffardo è apparso qualche giorno fa sulla prima pagina del Messaggero: “Roma, è allarme topi: pronta un’ordinanza. Vertice con il governo”.
Chiaro, non fa un plissé, è materia che sta nell’ordine delle cose contemporanee: anche il ratto qui ha il pass per un vertice a Palazzo Chigi. Così, nel tempo di uno squittìo, nella Capitale siamo passati dalla prevalenza del cretino (copyright Fruttero & Lucentini) alla prevalenza del ratto. Enormi, le conseguenze. Il prefetto Francesco Paolo Tronca, dopo la gloriosa vittoria sui centurioni del Colosseo, è di nuovo sul campo di battaglia, segna le mappe, piazza le trappole: “Ho deciso di intraprendere seriamente questa battaglia, consapevole che non avrò il tempo necessario a vincerla. Però voglio comunque lasciare un lavoro ben avviato”. Non ha idea del nemico. Chieda lumi a Massimo Donadon, terminator mondiale di topi. Sono tipetti sofisticati, roba da “MasterChef”, e bastava guardare al cinema “Ratatouille” per capirlo: “Margarina a New York, burro a Parigi, scarti di fast food a Londra, pesce in Cile, datteri nei paesi arabi. Se utilizzassimo esche insolite i topi non le riconoscerebbero e sarebbero diffidenti”. Hai capito, er sorcio.
Ormai è fatta, il dibattito è lanciato, il vertice governativo incardinato, la campagna elettorale per il Campidoglio sconvolta. E’ la legge della prevalenza del ratto e non provateci a dire che può bastare il gatto. Perché il pasticciaccio è brutto, la faccenda urgente, il caso protocollato. Escono in giro in pieno giorno, i topi, cribbio. Come dargli torto? Tonnellate di rifiuti attendono il passaggio irregolare dei netturbini. Che volete farci, il ratto non ha coscienza critica, non legge i bilanci dell’Ama, non fa parte del ceto medio riflessivo, vede il cibo a portata di dentino e con la naturalezza propria di un ratto si fionda sul pasto. La prima cosa da fare? Raccogliere la monnezza, ma a Roma è senza dubbio un programma ciclopico. Non se ne parla più neanche in terrazza, è démodé, e poi la spazzatura rende tutta la faccenda capitolina parecchio esotica.
[**Video_box_2**]La prevalenza del ratto riallinea il programma elettorale che diventa lo stesso per tutti, uomini e topi: prenderli per la gola. Donadon ci illumina: “I nostri bocconcini, made in Treviso, profumano di cioccolato, salmone, mela, pane tostato, arancio, vaniglia risultando irresistibili ai palati più sopraffini, unici per caratteristiche e capaci di essere fiutati a una distanza di 25 metri”. Alta cucina. Nel frattempo, in attesa del vertice a Palazzo Chigi, i ratti banchettano e salutano. Cos’è tutto questo? Non è il tragico de La Peste di Albert Camus, dove i ratti di Orano sono il veicolo del Male. Non è il duro realismo di John Steinbeck in Uomini e topi. A Roma batte ancora il tempo di Trilussa, uno scatto di trappole dove “ce vanno dentro li sorcetti poveri, mica ce vanno li sorcetti ricchi”. E’ lo Zeitgeist della Capitale, è la parabola dal marziano al ratto, è il copione del famolo strano, è il comico che striscia nel ridicolo e finisce come deve finire un banchetto da pazzi: a torte in faccia. A chi diamo i resti? Tranquilli, ci penseranno i topi.