Le mosse di D'Alema per escludere la fondazione del Pd dalla famiglia europea dei think tank socialisti
Roma. Il preludio di primavera coglie di sorpresa le mimose sberluccicanti al sole, e dalle parti di via Sant’Andrea delle Fratte è tutto un fiorir d’attese. Dopo l’atto di nascita (20 ottobre 2014) e il riconoscimento ufficiale (17 marzo 2015), la “Fondazione Europa, Youdem e L’Unità”, acronimo Eyu, è pronta a spiccare il volo nei cieli europei. In particolare a Bruxelles, rue Montoyer 40, a pochi passi dal quartiere Ixelles, dove ha sede la Foundation for European progressive studies, sigla Feps. Il report sulle attività 2014, l’ultimo disponibile, si apre con il “discorso del Presidente” il cui volto, ohibò, ha un che di vagamente familiare per la cronista italiana. Lui, e sempre lui, e fortissimamente lui. Dal 2009 Massimo D’Alema presiede la super Fondazione europea che mette in rete decine di think tank e organizzazioni ispirate ai valori della socialdemocrazia, global solidarity & sustainable economy. “Vicini al Partito socialista europeo ma cionondimeno indipendenti”, si legge sul sito web della Feps, come a dire vicini seppur lontani, vicini quel tanto che basta. Ne fanno parte, tra gli altri, le fondazioni legate ai partiti socialdemocratici europei: l’ammissione alla membership dà accesso a cospicui finanziamenti a titolo di ‘rimborso’ delle iniziative nazionali. La fonte di finanziamento pubblico – quasi 17 milioni di euro dal 2008 – è il Parlamento europeo. Sono membri Feps il Friedrich Ebert Stiftung (fondazione ufficiale Spd), la Jean-Jaurés (omologo dei socialisti francesi), la britannica Fabian Society, il blairiano Policy Network (presidente il Peter Mandelson della ‘terza via’), il bulgaro Institute for Social Integration, l’estone Johannes Mihkelson Centre… oltre sessanta organizzazioni.
Ma chi c’è per l’Italia? Tra l’associazione Bruno Trentin e l’Istituto Gramsci compare un nome che, di nuovo, suona vagamente familiare: Fondazione Italianieuropei. Coincidenza, Massimo D’Alema presiede simultaneamente la Feps, rete sovranazionale, e un think tank membro beneficiario dei contributi europei. Va da sé che la cultura del sospetto non ci appartiene, è “anticamera del khomeinismo”, eppure un timido dubbio si affaccia alla mente quando ti raccontano la seguente storia. Seconda metà di gennaio, riunione bruxellese del Bureau. Tra i punti all’ordine del giorno c’è l’istanza della fondazione Eyu per l’ingresso nella Feps. L’imbarazzo è palpabile, D’Alema appunta lo sguardo sul foglio di carta, qualche risolino, poi verga a penna, implacabile, “Fondazione di Matteo Renzi”. Come a dire, Eyu è la fondazione personale del segretario-premier, non quella del Partito democratico. La questione è rinviata a data da destinarsi. L’episodio è prontamente riferito alla base in via Sant’Andrea delle Fratte. L’agitazione sale, le mimose a gennaio non erano previste. Il fiorentinissimo Francesco Bonifazi, tutto barba e sicché, deus ex machina di Eyu (che ha riportato in edicola l’Unità), tenta di sorvolare. Quale sarebbe la fondazione del Pd se non quella creata dall’attuale classe dirigente? Giacomo Filibeck, segretario generale aggiunto del Pse, assiste alla famigerata riunione in qualità di osservatore (c’è pure il neosottosegretario agli Esteri Enzo Amendola). Filibeck espone la solenne posizione del Pse: “Sosterremo la candidatura di i-wai-iu (pronuncia all’inglese, bontà sua). L’Italia rappresentava un’anomalia perché annoverava numerose fondazioni personali, legate a ex segretari o ex ministri, ma nessuna organica al partito. Finalmente la dirigenza Pd colma una lacuna”.
Quant’è ambiziosa Eyu?
[**Video_box_2**]Nel frattempo al largo del Nazareno fervono i preparativi per il lancio del sito web di Eyu. A presiedere la fondazione è Adrio Maria De Carolis, classe 1967, enfant prodige della new economy, a 21 anni fonda la prima web agency italiana, Datanord Multimedia, oggi è amministratore delegato della società di sondaggi Swg. Nell’organigramma Bonifazi, che è anche tesoriere Pd, compare in qualità di presidente del Consiglio di indirizzo. L’idea innovativa è che Eyu non sarà soltanto un contenitore di donazioni ma offrirà un’ampia gamma di servizi per “stare sul mercato”. In tempi di finanziamento pubblico ridotto al lumicino, con il 2 per mille che ha portato nelle casse del Pd cinque milioni e mezzo di euro nel 2015 (contro i 200mila del 2014), la Fondazione potrà diventare lo strumento principe di raccolta fondi. All’articolo 3 dello Statuto si legge che Eyu realizzerà “iniziative, ricerche, studi, pubblicazioni, premi, borse di studio, manifestazioni, eventi culturali, giornate di studio, convegni e seminari, dibattiti pubblici e politici, trasmissioni televisive e radiofoniche…”. Il donatore che, per esempio, desideri approfondire la legislazione in materia di welfare per architetti e ingegneri potrà contare sull’apporto attivo di Eyu versando in cambio un contributo. E proprio al “riconoscimento della professione, welfare, contrasto al dumping e qualificazione del lavoro autonomo” è dedicato un progetto di ricerca già in cantiere. Un secondo riguarderà gli effetti della Tobin tax in Italia, un terzo la normativa in materia d’infortunistica sul lavoro. Sicché, si può ben dire, con la primavera alle porte e le mimose sberluccicanti al sole, Eyu spiccherà definitivamente il volo. “Non c’è D’Alema che tenga”, si sussurra in toscano.