Due anni di Renzi, cioè due anni di “svolte” e “derive”, purché autoritarie
“La campagna per l’election day è una battaglia di democrazia. In gioco non c’è solo la tutela dell’ambiente minacciato dalle trivelle”. Nell’intervista sul Fatto quotidiano Alberto Lucarelli, costituzionalista ed ex assessore ai Beni comuni con de Magistris a Napoli, lancia l’allarme sulla deriva autoritaria. Se il referendum No-Triv non verrà accorpato alle elezioni amministrative vorrà dire che è a rischio la democrazia: “E’ un nodo serio, tenendo conto che l’Italicum porta di fatto al premierato e quindi a una democrazia della maggioranza”.
Il monito del professore napoletano è solo l’ultimo in ordine di tempo di una lunga serie di allarmi lanciati negli ultimi due anni per salvare l’Italia dalla deriva autoritaria (per chi avverte un lento scivolamento antidemocratico) o dalla svolta autoritaria (per chi invece nota un cambio di direzione repentino). Se ci sono divisioni sulla traiettoria del moto non ce ne sono però sulla destinazione, che è appunto l’autoritarismo.
La bussola della resistenza costituzionale e democratica è l’appello “Verso una svolta autoritaria”, lanciato da Libertà e Giustizia, l’associazione di professori e intellettuali del calibro di Nadia Urbinati, Gustavo Zagrebelsky, Sandra Bonsanti, Stefano Rodotà e tanti altri: “Stiamo assistendo impotenti al progetto di stravolgere la nostra Costituzione da parte di un Parlamento esplicitamente delegittimato dalla sentenza della Corte costituzionale per creare un sistema autoritario che dà al presidente del Consiglio poteri padronali. Bisogna fermare subito questo progetto, e farlo con la stessa determinazione con la quale si riuscì a fermarlo quando Berlusconi lo ispirava”. Dopo il successo degli appelli moderatamente preoccupati del 2013 “La via maestra” e “L’urgenza e l’indecenza”, sempre rivolti alla difesa della Costituzione, l’arrivo di Matteo Renzi a Palazzo Chigi e la sua intenzione di toccare la Carta ha fatto scattare i sensori di rischio democratico-costituzionale. Il centro della questione è la riforma del Senato, la “devastazione autoritaria della Costituzione” per dirla con Marco Travaglio, che ha soprattutto la colpa di essere figlia del patto del Nazareno con Silvio Berlusconi e Denis Verdini: “La riforma è peggio del programma della P2, che era una cosa visionaria di ultradestra – diceva il girotondino Pancho Pardi – Oggi invece abbiamo il partito di centrosinistra che instaura la dittatura della maggioranza”. Un accordo (poi rotto) con Berlusconi non può che essere geneticamente autoritario e violento, tanto da far spostare i termini della narrazione della difesa della Costituzione sul canone medievale della pulzella preda delle fauci del drago: “Useremo ogni mezzo per impedirvi di stuprare la costituzione!”, esclamavano in Parlamento i deputati del Movimento 5 Stelle. Allo stesso modo Barbara Spinelli bollava come scandaloso l’accordo di Renzi che permetterà al “marchese De Sade” (Berlusconi) che prima di lui si era “installato a Palazzo Chigi” di violentare l’innocente e pura Justine (la Costituzione).
Dal sadico si è passati al gotico, con Gustavo Zagrebelsky autore di una specie di autopsia della Costituzione: “Vediamo più da vicino questo caso da manuale di morte pietosa o suicidio assistito nella vita costituzionale”. Naturalmente ci sono descrizioni meno macabre, ma non meno preoccupate, dello scivolamento verso la fine della democrazia. Corradino Mineo ad esempio, quando era ancora un senatore dissidente, parlava di una riforma costituzionale “inconsapevolmente autoritaria”, più Scajola che de Sade quindi. Dello stesso avviso Eugenio Scalfari: “Renzi sta smontando la democrazia parlamentare col rischio di trasformarla in democrazia autoritaria. Forse non ne è consapevole, ma quella è la strada che sta battendo”, anche se il Fondatore più che l’esempio di Scajola ci vede quello di Vladimir Putin quando nota passi nella direzione di una “democratura, che nasce dalla fusione tra democrazia e dittatura”.
La svolta autoritaria c’è, ma è difficile da definire e, per evitare che a furia di parlarne ci sia il “rischio di suscitare sarcasmi amari”, la filosofa Roberta De Monticelli propone “di sostituire l’espressione ‘svolta autoritaria’ con la più realistica constatazione della caduta dei veli nella gestione rapace e auto-assolutoria del potere: ‘Svolta impunitaria’”. Ma al di là delle definizioni, come spiega Stefano Rodotà, non bisogna aspettarsi un golpe vecchio stile perché “Una svolta autoritaria si può avere anche quando si dice ‘prendere o lasciare’ o quando si eliminano istituzionalmente le voci fuori dal coro”. Quindi, oltre alla riforma costituzionale, è un elemento della svolta anche la legge elettorale: “Il disegno dell’Italicum è ridurre il Parlamento a un ruolo ornamentale – diceva Nichi Vendola – e mettere la fiducia esprime il segno di una deriva autoritaria”. Un punto su cui è d’accordo anche Renato Brunetta, di Forza Italia, che ha denunciato la “deriva autoritaria” in una conferenza stampa con tutti i capigruppo d’opposizione.
Un altro elemento della “svolta” è la riforma della Rai che Carlo Freccero, prima di essere nominato del cda di viale Mazzini, ha definito “una follia autoritaria”. Stesso impianto antidemocratico per la riforma scolastica, che secondo lo storico Luciano Canfora “vuole trasformare i presidi in capetti dispotici. Non servono il fez e l’olio di ricino: l’autoritarismo è già in atto”.
Tra i denunciati e appellanti non poteva mancare Alberto Asor Rosa, che dopo aver proposto un golpe dei carabinieri per porre fine all’autoritarismo di Berlusconi paragonato ad Adolf Hitler, mette in guardia dalle pulsioni anti-democratiche dal Partito della Nazione renziano: “A nessuno viene in mente che un obiettivo e una definizione di tale natura avrebbero potuto confarsi anche al Partito Nazionale Fascista o al Partito (appunto) Nazionalsocialista”. Asor Rosa è fatto così, è palindromo, vede svolte autoritarie e nazisti in arrivo sia da destra che da sinistra.