Passeggiata nella Roma elettorale

Mario Sechi
Le disavventure del centrodestra, gli alleati che si pestano, i grillini che urlano al complotto, Marino, i blog, le ruspe, le ritirate e i todos caballeros. A che punto è la notte, della Capitale.

Ciak, si gira. La notte degli Oscar s’avvicina. C’è un film straniero in concorso che ancora nessuno ha visto, ma i rumors dicono sia degno del genio di Mel Brooks: La campagna elettorale più pazza del mondo. Ha una sceneggiatura psichedelica e una schizzatissima regia, è un’opera collettiva di grande intensità, il set è familiare al pubblico, scenario indimenticabile di tanti film del ciclo della mitologia burina: Roma.

 

Stendete per bene il red carpet, voi di Hollywood, perché qui non c’è partita per nessuno, la storia è avvincente, il cast è stellare, il sold out assicurato. E’ la storia di un gruppo di uomini pronto a tutto per (non) conquistare lo scettro del Campidoglio. Ecco i protagonisti: Paolo Emilio Tronca, commissario straordinario di Roma; Roberto Giachetti, Roberto Morassut, Stefano Pedica, Domenico Rossi, Gianfranco Mascia e Chiara Ferraro, candidati alle primarie del centrosinistra; Ignazio Marino, ex sindaco defenestrato; Silvio Berlusconi, Matteo Salvini, Giorgia Meloni e Guido Bertolaso, leader e (fu) candidato del centrodestra; Alfio Marchini, noto Arfio, giocatore di polo, il candidato arternativo, de destra ma pure de sinistra, cattolico ma un sacco laico, e poi ricco e bello e straphonato come si deve, Paola Taverna e le scie chimiche dei grillini in preda agli spasmi demo-elettronici delle “comunarie”. Con questa compagnia, cari giurati dell’Oscar, anche il parrucchino rockabilly di Donald Trump prende il volo. Vai con Hair.

 

Ciak, si gira. La notte degli Oscar s’avvicina. E ci sono già numeri imbattibili sui quali ragionare, fare classifiche, appuntare medaglie, alzare statuette e coppe, ringraziare le autorità e controllare l’abbacchio, perché la produzione ha avuto costi astronomici, mai affrontati nella storia del cinema. E’ il Messaggero a svelarli con un titolone in prima pagina: “Debito e Irpef affondano Roma”. Sì, è una pellicola ad altissimo costo, ma che soddisfazione, è tutto un guinness dei primati: “Un debito da 13,6 miliardi. E l’aliquota Irpef più alta d’Italia. La relazione sulla gestione commissariale del debito di Roma Capitale è arrivata sul tavolo del ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan. Contiene la quantificazione della voragine record che è pari a due volte il bilancio del Campidoglio. Con questi numeri ci vorranno decenni per ridurre l’addizionale ora al 9 per mille. Intanto Confcommercio fa sapere che le tasse locali sono triplicate in 20 anni”.

 

La selezione del cast è un’operazione ciclopica. Il centrosinistra ha dovuto sacrificare uno dei suoi migliori attori comici di sempre, Ignazio Marino, e inventare una gara per dare al pubblico la possibilità di scegliere un volto nuovo, ma non ridondante, con un fascino discreto de popolo e non de borghesia, un sapore de matriciana e non de sushi. Faranno le primarie, il popolo della sinistra sceglierà facce e charachters. Bob Giachetti, sguardo languido, sorriso da wonder boy radicale, trotta per le periferie (mi raccomando, le periferie! che in centro so’ tutti der generone) va allo spettacolo di Beppe Grillo al teatro Brancaccio (perché bisogna ridere e far ridere) e poi svolazzare alla presentazione della candidatura di Roma alle Olimpiadi 2024, incontrare Luca Cordero di Montezemolo e Giovannino Malagò, beccare la sventagliata di flash, incassare una battuta del prefetto Franco Gabrielli (“Robbè, tutte ’ste fotografie anche se abbiamo sempre le solite facce?”) e rispondere da attore cresciuto alla Scuola Istrionica di Marco Pannella: “Voi sempre gli stessi, noi intercambiabili”. Intercambiabili. Inossidabili. Invisibili. Ma sempre presenti. Attori che compaiono in tutte le pellicole, eterne comparse a scomparsa. Prendete Roberto Morassut, uno che recita da novissimo. Nel 1980 era comunista, nel 1989 diventa democratico, nel 1997 è segretario romano del Pds e consigliere comunale a Roma, nel 1999 è capogruppo in Consiglio comunale, nel 2001 è assessore all’urbanistica nella giunta Veltroni, nel 2008 è segretario regionale del Lazio e da assessore in Campidoglio firma il nuovo piano regolatore, sempre in quell’anno è eletto deputato e da allora non è più uscito da Montecitorio. Nella sua dichiarazione patrimoniale del 2013 figurano un fabbricato a Roma, una Hyundai Getz immatricolata nel 2006, niente barche, niente aerei, niente partecipazioni, niente azioni, niente investimenti, niente alta finanza, nel 2012 ha dichiarato 94 mila euro di reddito e speso zero euro in campagna elettorale. Un fenomeno. Sempre scritturato. E oggi (ri)pronto per l’uso, perché in fondo lui a Roma è stato una comparsa.

 


 


 

Ciak, si gira. La notte degli Oscar s’avvicina. E i grillini lo sanno, che c’è del marcio a Hollywood e non in Danimarca. Stanno selezionando, via video, come si insegna fin dal primo giorno di lezione all’Actors Studio, il volto migliore, quello che non deve vincere per non cascare nel più torbido, mefistofelico, contorto complotto della storia politica mondiale. Ha avvertito tutti, Paola Taverna, una che ci vede lunghissimo e quando il centrodestra scodella sul Foro romano il nome di Guido Bertolaso, improvvisamente, la cospirazione si rivela ai suoi occhi, come le scie chimiche: “E’ incredibile riuscire a proporre per i romani un candidato del genere.  Ho pensato che potrebbe essere in corso un complotto per far vincere il Movimento cinque stelle a Roma. La scelta di Bertolaso mi ha lasciato perplessa tanto quanto quella di Giachetti. Diciamocelo chiaramente, questi stanno mettendo in campo dei nomi perché non vogliono vincere Roma, si sono già fatti i loro conti”. Che finezza, che ingegno, che perspicacia, non li gabba nessuno, i pentastellati. Il leader recita al Teatro Brancaccio, ma la macchina politica è sul set, nei quindici municipi ci sono 200 candidati, (li stanno votando, ora) e quando la rotativa avrà finito di stampare questo pezzo, il primo turno di votazioni sarà esaurito. Tutto virtuale, tutto asettico, tutto in bit, tutto in puro Casaleggio style. Resteranno dieci nomi, saranno loro ad affrontare il secondo turno di votazioni. Da questo mazzo, uscirà la carta vincente, il candidato sindaco. Sul blog piovono commenti che voi umani… tra gli insulti e le supercazzole, un utente suggerisce modifiche operative dal mondo di Quark: “Per rendere più facile la selezione dei candidati bisognerebbe fornire alla pagina dei candidati un sistema di ricerca che seleziona per età, sesso, occupazione, ecc.

 

Penso che ci vorrebbe anche un sistema di spunta per evidenziare chi preferisci, per poi decidere alla fine a chi dare i voti tra quelli già spuntati. Così com’è si rischia di votare i primi della lista”. A quando l’algoritmo? Ormai ci siamo e dopo nella galassia dei 5 stelle, Taverna docet, ci sarà una battaglia a colpi di raggi laser per sventare il complotto. Bisogna perdere.

 

[**Video_box_2**]Ciak, si gira. La notte degli Oscar s’avvicina. La sceneggiatura è ricca di colpi di scena, colpi di testa, colpi di sole in pieno febbraio. Guido Bertolaso si candida, accetta l’invito, arriva dopo quella che in un giornale sportivo avrebbero titolato così: “Idea Dalla Chiesa”. Rita, brava persona, volto della tv, proiettata da Forum nel gioco della torre romana. Niente, l’idea evapora nei pixel del piccolo schermo, c’è un Bertolaso per tutti. Berlusconi ce l’ha fatta, sono d’accordo, Salvini ci sta, la Meloni è in pace. Todos caballeros. No, perdinci, il plot cambia di nuovo, lo sceneggiatore ha bevuto un paio di single malt, non ha la penna magica di quello di Hollywood, Dalton Trumbo, e la faccenda s’incarta di brutto, Bertolaso sembra aver studiato il copione pieno di astuzie e inganni di Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno ma, a differenza di quest’ultimo, Bertolaso “con gli anni non è divenuto accorto”. Dice quello che pensa! La ruspa di Salvini? “Userei più tatto e diplomazia. I rom sono una categoria che nel nostro paese è stata vessata e penalizzata”. Berlusconi? “Non l’ho mai votato, sono un vecchio democristiano”. Alfio Marchini: “Una persona per bene”. Roberto Giachetti? “Un amico”. Patatrac! La ruspa di Salvini si mette in marcia e Bertolaso resta incastrato tra i cingoli: “Come partenza non è il massimo”. Berlusconi cancella il vertice previsto e fa decollare il comunicato: “Assicuro tutto il nostro sostegno”. Di chi? La Meloni si dice “allibita”. Marchini gode, Arfio rotola sul prato inglese dalla gioia. E così, siamo in piena fase Albertone, eccolo qui, il Sordi de “L’Anno del Signore”, regia di Luigi Magni: “Popolo, ma che te sei messo in testa? Ma che vuoi? Vuoi comanna’ te? E chi sei? Sei papa? Sei cardinale? O sei barone? Ma se non sei manco barone chi sei? Sei tutti l’altri! E tutti l’altri chi so’? Rispondi! Rispondi a me, invece di assalta’ i castelli! So’ li avanzi de li papi, de li cardinali, de li baroni, e l’avanzi che so’? So’ monnezza! Popolo, sei ’na monnezza! E vuoi mette’ bocca?”. Ciak, si gira. La notte degli Oscar s’avvicina.