L'establishment in rivolta non spaventa Renzi perché oggi l'establishment è Renzi
I nemici sono chiari, d’accordo. Ma gli alleati di Matteo Renzi, in Europa, chi diavolo sono, se ci sono? Riavvolgiamo il nastro e mettiamo insieme i puntini.
Da qualche settimana, sia in Italia sia in Europa, il partito del “Renzi fermati ti prego” si è arricchito di sottoscrizioni pesanti e il numero di avversari che il Rottamatore si ritrova contro, su entrambi i fronti, non è da sottovalutare. In Europa, anche per ragioni elettorali (a marzo si vota in Germania in tre regioni importanti), i partiti che si riconoscono nel Ppe non fanno più mistero di considerare il premier uno Tsipras in versione italiana e la diffidenza nei confronti del segretario Pd sta contagiando una buona parte della Commissione europea, arrivando a sfiorare alcuni pezzi da novanta della socialdemocrazia tedesca (Schulz, che di Renzi non si è mai fidato) e francese (Hollande, che di Renzi diffida da tempo). Sul versante italiano, la situazione è ancora più movimentata.
Mario Monti, intervistato ieri da questo giornale, ha sorriso di fronte all’idea che le sue critiche a Renzi potessero essere lette come il segnale che la tecnocrazia avrebbe deciso di dare una spallata al premier. Non sarà così ma un dato di fatto va colto. Nessuno tra gli ex presidenti del Consiglio avuti dall’Italia negli ultimi vent’anni (Berlusconi, Prodi, Amato, D’Alema, Letta, Monti) sostiene Renzi. E se al club degli ex premier si aggiungono pezzi importanti dell’establishment (Consiglio di stato, Corte dei Conti, Magistratura democratica, sindacati, strutture diplomatiche orfane di un rappresentante a Bruxelles, una parte di classe dirigente che, Fiat a parte, si riconosce nell’azionariato del Corriere) si potrebbe avere la percezione che Renzi viva in un fortino assediato. E’ una mezza verità. Sul fronte europeo, Renzi immagina di costruire un asse con i volti emergenti della nuova socialdemocrazia (socialisti spagnoli, socialisti portoghesi, socialisti alla Syriza, socialisti alla Valls e alla Macron) ma la ragione per cui il presidente del Consiglio nella sua battaglia contro l’Europa del nord sente di avere le spalle coperte è legata a quattro fattori.
Primo: il sostegno dell’Amministrazione americana, quella presente, Obama, e forse anche quella futura, Clinton (sostegno che si lega anche al generoso supporto offerto al nostro paese dalla più grande società di investimenti del mondo, BlackRock).
Secondo: l’alleanza con Putin (che ha una sua importanza anche nell’ottica dei nuovi equilibri militari nel medio oriente, compresa la Libia).
Terzo: la triangolazione con pezzi di establishment europeo legati alla sinistra che non si riconoscono nell’attuale sinistra dei loro paesi (molti imprenditori vicini ai laburisti inglesi a disagio con Corbyn, un pezzo di classe dirigente francese a disagio con Hollande, come Matthieu Pigasse, proprietario del Monde, giornale divenuto molto sensibile al tema “la sinistra francese deve fare come quella italiana”).
Quarto: l’appoggio offerto dalle più importanti istituzioni italiane, Quirinale, Mef e Bankitalia, alle battaglie portate avanti in Europa (dove anche Draghi, pur nutrendo delle riserve su alcuni passaggi del renzismo, non è ostile al premier).
[**Video_box_2**]La stabilità del renzismo passa da qui e a questi punti di forza ne vanno aggiunti altri due. Da un lato, Renzi può far pesare in Europa il suo essere a capo del partito più importante d’Italia che non ha perso una sola elezione da quando è al governo. Dall’altro lato, la ragione per cui il premier è immunizzato dalla rivolta di un pezzo di establishment è che dopo due anni di governo, con molte caselle di potere occupate (manca solo la guardia di finanza), non esiste nel nostro paese un establishment più forte di quello renziano. L’establishment, oggi, è Renzi. E sarà anche per questo che il mirino della rottamazione non poteva che spostarsi laddove le caselle non sono state ancora conquistate da Renzi: l’Europa, naturalmente.