Il premier Matteo Renzi (foto LaPresse)

Se l'economia peggiora, Renzi non può che andare allo scontro duro con l'Ue

Giuliano Ferrara
Il presidente del Consiglio italiano Matteo Renzi ha alzato la voce nell’Unione europea. La prima domanda è: perché lo fa? La seconda domanda è: dove vuole e può arrivare?  Giuliano Ferrara lo spiega su Politico.eu.

Il presidente del Consiglio italiano Matteo Renzi ha alzato la voce nell’Unione europea. La prima domanda è: perché lo fa? La seconda domanda è: dove vuole e può arrivare?

 

Da alcune settimane, anche in previsione del Consiglio dei capi di stato e di governo del 18 e 19 febbraio, Renzi ha deciso di assumere la parte in commedia del cattivo ragazzo. Renzi critica severamente la Commissione Juncker perché non fa abbastanza per attuare politiche di crescita e sorveglia con eccessiva rigidità fiscale i bilanci pubblici; chiede alla Germania di Angela Merkel e di Wolfgang Schäuble di impegnarsi per un trattamento paritario delle politiche dell’immigrazione e della sicurezza, a partire dai loro costi; esige che il peso delle migrazioni sia ripartito in modo solidale tra i paesi dell’Unione con il sistema delle quote concordate e obbligatorie; apre un complicato e sensibile dossier sui rapporti con la Federazione russa in materia di energia (la questione dei gasdotti) e di sanzioni economiche; diffida della proposta di Bundesbank e Banque de France per un ministro del Tesoro europeo con compiti limitati, la trova vaga e astratta.

 

Renzi agita questi temi, e molti altri, in modo calcolato ma con toni nervosi e irrituali. Mette in discussione, suscitando la reazione del Partito popolare europeo e trovando ascolto nella socialdemocrazia tedesca, il patto politico che ha portato all’elezione di Jean-Claude Juncker alla testa della Commissione di Bruxelles. Allo scopo di essere meglio rappresentato nel negoziato intergovernativo, sostituisce a sorpresa e con scandalo un insider dell’eurocrazia, l’ambasciatore d’Italia presso l’Unione europea, un diplomatico di carriera, con un outsider, un membro del suo governo, un politico che non viene dai ranghi della diplomazia (caso rarissimo nelle abitudini dell’alta burocrazia internazionale italiana).

 

Renzi però non è Alexis Tsipras. Il debito pubblico italiano è molto alto ma può essere curato con riforme che Renzi ha parzialmente messo in atto, che gli sono riconosciute dai partner, che hanno già cominciato a produrre qualche risultato positivo. Renzi non si è indebitato con i partner e non minaccia la cordata dei creditori; l’Italia non manda a Bruxelles ministri antieuro e antiausterità come Yanis Varoufakis, non convoca referendum populisti. Il premier di Roma si comporta da cattivo ragazzo, ma fa parte della covata europeista, ha quella cultura e quella inclinazione. L’Italia aveva fatto dal 2011 al 2014 la sua cura tecnocratica, con Mario Monti e Enrico Letta, ma la terapia aveva solo parzialmente funzionato. Sopra tutto, non aveva funzionato sotto il profilo politico, del consenso domestico.

 

Il motivo della campagna europea di Renzi è principalmente questo. Ha vinto le elezioni europee con il 40 per cento dei voti, il suo è il partito più votato in Europa. Ha arginato, cosa che non è riuscita in Spagna ai popolari e nemmeno ai socialisti francesi della maggioranza presidenziale, l’ondata populista e antipolitica. Ha superato bruscamente nel suo paese le mediazioni sindacali e ha varato un nuovo codice del lavoro con il Jobs Act.

 

In due anni Renzi è riuscito a tenere a posto i conti pubblici e ad accompagnare una timida, fragile ripresa, passando dal segno negativo della recessione a quello positivo della crescita del prodotto interno lordo e a dati controversi ma positivi di nuova occupazione. Ha introdotto un programma di alleggerimento del peso fiscale sulle famiglie e sulle imprese, ha arginato i problemi del sistema bancario. Ora ha bisogno di ottenere per l’Italia e la sua economia un posto meno periferico, meno marginale, in Europa. Ha bisogno di più autonomia e di maggiore flessibilità nella gestione del deficit. E questa è la condizione per tenere ad alti livelli il consenso interno. Renzi non può ottenere questo risultato con le consuete mediazioni interne alle regole intergovernative e alle burocrazie che le custodiscono. Deve negoziare da pari a pari, in termini politici, nuove condizioni di convivenza e di solidarietà nell’Unione europea e nell’Eurogruppo. Per questo ha cominciato ad alzare la voce.

 

[**Video_box_2**]Fino a dove vuole arrivare? Renzi è di natura un manovratore accorto. Lavora per un accordo anche e sopra tutto quando ne imposta le basi preparandosi al negoziato con uno scontro preventivo. Fino a dove può arrivare? I dati dell’economia in un certo senso non lo aiutano, perché la crescita del quarto trimestre 2015 è inferiore alle previsioni, e la crescita del 2016 si annuncia anch’essa inferiore: la prospettiva per il 2016 è meno ottimistica di quanto il governo e gli organismi internazionali di controllo avevano previsto. Se si aggiungono i dati della produzione e dell’occupazione, risulta più difficile al governo italiano mantenere il controllo sul bilancio pubblico e sostenere l’economia e il suo programma di riforme. In un altro senso, la fragilità della ripresa italiana induce il governo a insistere e a battersi con ancora maggiore energia per ottenere nuove condizioni di crescita. Renzi non ha molte alternative a un negoziato duro per un accordo che gli renda possibile governare il suo paese.

 

Ieri Politico.eu ha pubblicato la versione originale di questo articolo, in inglese

  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.