L'egemonia renziana passa dall'economia. Mosse e nomi per il 2016
Ernesto Galli della Loggia, sul Corriere della Sera di ieri, ha scritto che è un errore immaginare, come ha fatto il Foglio alcuni giorni fa, che la spinta del presidente del Consiglio possa trasformarsi in una forma di egemonia culturale, in una forte prospettiva ideologica necessaria al consolidamento della sua leadership. Galli della Loggia è scettico e sostiene che il renzismo “resterà al massimo una strategia di governo di successo per un paese fermo, in attesa timorosa di ciò che gli potrà capitare domani”. Galli della Loggia forse sottovaluta il fatto che il renzismo – inteso come un mix di riformismo popolare e populismo di governo il cui obiettivo prioritario è stato ed è quello di archiviare un numero significativo di tabù politici ed economici portati avanti per anni da una vecchia sinistra conservatrice ipnotizzata per oltre un decennio dai veti di sindacati e corporazioni – esiste a prescindere da Renzi, e il presidente del Consiglio oggi è l’effetto, e non la causa, di una serie di trasformazioni profonde del nostro paese che Renzi non ha fatto altro che intercettare e rappresentare.
A prescindere dalle valutazioni di merito sul tentativo di Renzi di creare una connessione sentimentale con il paese, non c’è dubbio che da qui alla fine della legislatura la declinazione più importante del renzismo prenderà forma non solo negli studi televisivi della Rai o nei centri studi dell’Aspen renziano (Volta) ma soprattutto all’interno della squadra di economisti a cui Renzi ha affidato un compito cruciale: dare linfa al renzismo di governo ora che il renzismo di governo inizia a essere a corto di fiato. La squadra è quella guidata dall’Osborne di Renzi, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Tommaso Nannicini. Da questa settimana il team, formato da quindici persone, praticamente una squadra di governo i cui componenti svolgeranno da molti punti di vista dei ruoli da mini ministri, si insedierà al terzo piano di Palazzo Chigi e i nomi definitivi scelti da Nannicini, alcuni dei quali non ancora annunciati, sono questi. Luigi Marattin, docente di Macroeconomia all’Università di Bologna, attuale consigliere di Palazzo Chigi. Marco Leonardi, professore associato di Economia politica all’Università di Milano, già consigliere di Nannicini sul Jobs Act. Stefano Firpo, direttore generale per la politica industriale al Mise. Maurizio Del Conte, economista, già consigliere di Nannicini sempre sul Jobs Act. Vincenzo Galasso professore di Economia alla Bocconi. Michelangelo Quaglia, analista. Stefano Gagliarducci, economista di Tor Vergata. Sara Formai e Stefano Manestra, che arrivano entrambi da Bankitalia (il secondo è esperto di fisco). Marco Simoni, già consigliere economico di Palazzo Chigi. Stefano Sacchi, professore di Politica sociale alla Statale di Milano e anche lui già consulente economico di Palazzo Chigi.
[**Video_box_2**]Infine, oltre a due economiste che arriveranno dal Mef e che non sono ancora ufficiali, anche Tiziano Treu, ex ministro del Lavoro. Il team di Nannicini – che sarà organizzato in due cerchi, il primo più operativo con Marattin-Simoni-Firpo-Galasso-Gagliarducci, il secondo più di elaborazione, con tutti gli altri – avrà il compito di lavorare su tre dossier: legge sulla rappresentanza, salario minimo, riforma del fisco. Sono le tre riforme sulle quali Renzi punta per arrivare alla prossima legge di Stabilità con alcuni provvedimenti importanti attraverso i quali smuovere l’economia e dimostrare all’Europa che l’Italia merita rispetto e flessibilità perché continua a fare molti compiti a casa. L’egemonia renziana passa non solo dalla Rai e dai think tank ma anche da quello che è destinato a diventare il luogo più importante di rielaborazione del renzismo: la giusta palestra per capire se Nannicini, come crede Renzi, ha la stoffa per essere un domani, nella prossima legislatura, il successore naturale di Padoan al ministero dell’Economia.