Un gruppo di senatori del Movimento 5 Stelle durante la discussione del ddl Cirinnà al Senato (foto LaPresse)

Sulle unioni civili i grillini restano populisti ma s'inimicano il mainstream

Marianna Rizzini
Sul crinale destra-sinistra. Parlano Orsina e Gualmini

Roma. C’era una volta un Movimento Cinque Stelle sempre in qualche modo percepito come “populista”, sì, ma coccolato dall’opinione pubblica e da una parte dei media (anche non necessariamente “grillini”), e questo nonostante gli inciampi e gli errori di comunicazione, per via della capacità di intercettare un senso comune, un pensiero ricorrente, un tic psicopolitico (dall’anticasta alla trasparenza alla democrazia diretta al “dàgli al politico ladro” a un certo ecologismo anche referendario e associazionistico). Ci sono stati giorni, all’inizio della favola, in cui gli intellettuali “beautiful” pregavano Beppe Grillo di fare il famoso “accordo” con il Pd di Pierluigi Bersani, e giorni in cui il M5s sembrava dividersi al suo interno (vedi il tema immigrazione) ma a livello più che altro epidermico, come per prendere le misure del grande campo di elettori che parevano rispondere alla legge del “nulla si crea, nulla si distrugge”: per uno che deluso se ne andava, sembrava essercene sempre uno pronto a sposare il meraviglioso mondo della Casaleggio Associati. E però ora, sulle unioni civili, il M5s si trova, forse per la prima volta da quando è entrato in Parlamento, nella scomoda posizione di movimento non più in linea con il il mainstream, anzi incolpato di aver contribuito a depotenziare la legge (non a caso ieri le associazioni Lgbt chiedevano un incontro al M5s e a Sel: trovate “un accordo politico” con il Pd che escluda il voto di fiducia su una legge che “è già una mediazione al ribasso a partire dalla stepchild adoption”, era il messaggio. 

 

Il travaglio è cominciato qualche settimana fa, quando  Beppe Grillo, dal suo blog, aveva lasciato libertà di coscienza sul ddl Cirinnà, facendo insorgere una fetta della base: “Nel disegno di legge è prevista la stepchild adoption – diceva Grillo – Questo è il punto in cui le sensibilità degli elettori, degli iscritti e dei portavoce M5s sono varie per questioni di coscienza. Nella votazione online che si è svolta a ottobre 2014 non era presente alcun accenno alle adozioni e gli iscritti del M5s non hanno potuto dibattere su questo argomento specifico…non si fa ricorso a un’ulteriore votazione online perché su un tema etico di questa portata i portavoce M5s a Palazzo Madama possono comunque, in base ai dettami della loro coscienza, votare in maniera difforme dal gruppo qualunque sia il risultato delle votazioni”. Poi sono arrivati i giorni della retromarcia sul cosiddetto “emendamento-canguro” (i Cinque Stelle hanno detto “no”, il Pd li ha chiamati traditori e tutto un mondo associazionistico che guarda a sinistra ma non guardava con antipatia ai Cinque Stelle ha strabuzzato gli occhi). Ora, nei giorni in cui si discute di fiducia e stralcio della stepchild, l’M5s dice (Luigi Di Maio domenica a “In mezz’ora”): “Noi sulle unioni ci siamo al 100 per cento, e siamo a favore della stepchild”, ma anche (Beppe Grillo ieri) “sulle unioni civili Renzi fa come chi fa la ‘mano morta’ sull’autobus e poi ti incolpa”.

 

[**Video_box_2**]E la posizione del M5s sulle unioni civili diventa la fotografia di una fase ormai sempre più “partitica” del movimento stesso. Giovanni Orsina, docente di Storia contemporanea alla Luiss ed editorialista sulla Stampa, dice che “lo scopo del M5s è sempre stato quello di divincolarsi dalla frattura destra-sinistra, in favore di una frattura establishment-cittadini”. Ora, con Renzi “al centro di tutto”, i Cinque Stelle, dice Orsina, “cercano di essere sia di destra sia di sinistra”, tenendo anche conto del loro muoversi “all’interno di due sfere: i militanti sul web e l’elettorato. Ma quanto le due sfere sono davvero e sempre sovrapponibili? E quanto l’identità di movimento dei militanti sul web, specie nella parte vicina all’associazionismo di sinistra, entra in conflitto con l’identità elettorale di movimento che non è né di destra né di sinistra? L’identità dei Cinque Stelle risiede nel metodo, e lo si vede quando dicono: il programma ce lo fornisce la rete. E però poi, se vuoi fare politica, quel programma non puoi seguirlo alla lettera, ed è come se la tua diversità dai partiti non potesse essere più salvaguardata a tutti i costi”. A Elisabetta Gualmini, vicepresidente della Regione Emilia Romagna e studiosa (dall’Istituto Cattaneo) del fenomeno M5s fin dalle origini, quello di oggi pare “puramente un gioco tattico”: “Grillo, da leader politico quale è, e in barba alla democrazia diretta, ha capito che in questo caso doveva farsi attore di una scelta in chiave anti Pd, suo principale competitor, e non lasciargli il campo. I Cinque Stelle sanno che una parte della base proviene o è vicina ad ambienti della sinistra radicale, ma pensano che ora non si possa dare troppo al Pd, anche a costo di perdere consenso, e magari pensando che c’è tempo di recuperarlo”.

  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.