Matteo Renzi e Denis Verdini (foto LaPresse)

Perché sulla Libia può tornare il vero patto del Nazareno

David Allegranti
Che cosa c’è nel futuro di Ala, il gruppo parlamentare che potrebbe farsi partito insieme ad altre forze centriste? Lo spiega al Foglio Riccardo Mazzoni, senatore verdiniano.

Denis Verdini e i suoi parlamentari ormai riempiono le pagine dei giornali tutti i giorni, fra accuse di trasformismo, retroscena e attacchi della minoranza Pd. “La giornata delle unioni civili - ha detto l’ex segretario Pier Luigi Bersani - è stata usata per un'operazione politica deteriore. Non c'era bisogno di mettere la fiducia. La fiducia è stata l'autobus sul quale la formazione politica di Verdini ha fatto una operazione classica di trasformismo”. Ma che cosa c’è nel futuro di Ala, il gruppo parlamentare che potrebbe farsi partito insieme ad altre forze centriste? Lo spiega al Foglio Riccardo Mazzoni, senatore, giornalista, membro del giglio verdiniano, artefice della vittoria del centrodestra a Prato nel 2009.

 

“Bersani è uno dei pochi leader al mondo che è riuscito a non vincere pur avendo 15 punti di vantaggio sull’avversario. Oggi i giornali sono pieni di resoconti sui trasformisti che hanno cambiato casacca - abbiamo stabilito il record - ma questa è una legislatura fisiologicamente trasformista, se per trasformismo si intende il superamento delle vecchie divisioni nel nome dell’interesse nazionale, come sostenne Agostino Depretis nel 1882”. Dunque, dice Mazzoni, “il primo trasformista di questa legislatura è stato Bersani a sua insaputa: doveva vincere le elezioni e le ha perse. Verdini, finché era il gran visir del sultano Berlusconi non dava noia a nessuno, anche quando Bersani mandava gli emissari per concordare la riforma elettorale. Ora che si è messo in proprio - che è diventato un emiro in proprio - la sinistra del Pd insorge quotidianamente contro Verdini, che è stato uno dei primi a capire che questa legislatura o era costituente o non era. Il patto del Nazareno è stata la logica conseguenza di queste premesse”. Dunque, si chiede Mazzoni, “è corretto distinguere i parlamentari tra lealisti, cioè quelli che restano nel gruppo dove sono stati eletti, e trasformisti, o non è più logico cominciare a dire che la vera divisione è tra reazionari e riformisti? I reazionari sono quelli che, restando dove sono e perpetuando le vecchie divisioni, di fatto impediscono che le riforme si facciano”.

 

Per fare le riforme serviva un mini-Nazareno. E quello fra Denis Verdini e Matteo Renzi è, oggi, “la continuazione del Patto del Nazareno con altri mezzi. O meglio con altre… ali”. Affinché questo rapporto, questa unione civile, questo contratto a progetto, chiamatelo come volete, diventi altro, c’è bisogno di tempo. Ma soprattutto c’è bisogno di un leader a capo dello spazio centrista che si è venuto a creare. “Al momento - prosegue Mazzoni - questo grande spazio al centro è politicamente ipotetico: lo spostamento di Forza Italia a destra ha lasciato un vuoto e qualcuno lo dovrà riempire come succede in politica. In politica non bastano neanche tre atomi per fare una molecola. Nella politica moderna le aggregazioni e il consenso si prendono con un leader che al momento non c’è. Non lo è Alfano, non lo è Zanetti, non lo è Verdini, il quale non aspira neanche a esserlo, e non lo è più Casini. Questo è un percorso parlamentare per dare un senso compiuto a questa legislatura, e ha ragione Verdini quando dice che non bisogna affrettare i tempi”. Perché questo partito o schieramento centrista nasca, bisogna che accadano tre cose. “Primo: si deve compiere la trasformazione di Forza Italia in un partito interamente populista, e quindi fotocopia della Lega. Alle amministrative, Salvini deve dimostrare con i numeri di essere il nuovo padrone del centrodestra. E qui apro una parentesi: uno che in momento del genere, dopo l’uccisione dei tecnici italiani in Libia, dice che Renzi ha le mani sporche di sangue o è un irresponsabile oppure uno sciacallo, anzi è tutte e due le cose insieme. Secondo: bisogna che Renzi abbia il tempo di trasformare del tutto il Pd a sua immagine e somiglianza, e in parte lo ha già fatto. E’ molto più simile a Tony Blair e sta facendo la stessa rivoluzione che in Germania fece Bad Godesberg nel 1958 e che il Pci non ha mai fatto se non con un cambio di nomi floreale. Renzi sta compiendo quasi 60 anni dopo un’operazione di rinnovamento, per cui è oggettivamente il  Good Godesberg, per dirla con una battuta, della sinistra italiana. La sinistra si trova sfrattata in casa, ma non può urlare alla luna tutti i giorni contro Verdini. Verdini è una necessità politica, non uno sghiribizzo di Renzi. E se in uno dei rami del Parlamento i numeri non ci sono vanno trovati. Terzo: bisogna che emerga personalità in grado di rendere attrattivo uno spazio ancora vuoto che deve essere riempito. Ci vuole tempo. Verdini è il tessitore della tela, ma l’orlatura esterna la deve fare un altro”.  

 

[**Video_box_2**]Fra gli strali della sinistra Pd c’è quello di Enrico Rossi, che non vuole che i verdiniani stiano negli stessi comitati del sì al referendum. “Loro - dice Mazzoni al Foglio - vogliono che non ci contaminiamo con la riforma istituzionale, ma se non c’eravamo noi non passava. Siamo stati determinanti, mentre la sinistra si è messa di traverso cavillando. Non ci vogliono neanche nei comitati per il sì, perché hanno la propensione antica a un senso di superiorità politica e morale. Ed è un fardello, perché impedisce di ragionare in maniera dinamica. Vogliono dunque fare pulizia etnica anche nei comitati del sì, dove noi ci stiamo a maggior ragione di loro perché siamo stati più convinti di loro nell’approvare questa riforma”. E insomma, chiude Mazzoni: “Mi viene lo sgomento quando vedo che l’Europa sta andando a pezzi a fronte di un fenomeno epocale come l’immigrazione, l’Italia si appresta a guidare una coalizione in Libia fra dieci giorni e i giornali sono pieni di Verdini che non deve partecipare alle primarie del Pd. La sinistra, che dovrebbe avere senso istituzionale e anche senso del ridicolo, se lo metta bene in testa: i numeri di Verdini sono indispensabili per governare il Paese. Prima c’era il depretismo ora c’è il verdinismo. Sono due categorie reiette alla morale o necessarie alla politica?”.

 

C’è poi il capitolo del centrodestra. Mazzoni spera che ci sia un ravvedimento e che Pd e Forza Italia tornino a parlarsi. “Il centrodestra Sta facendo a Renzi quello che la sinistra ha fatto con Berlusconi per vent’anni, cioè sputtanarlo in Europa. Eppure con un leader del Pd di nuovo conio come Renzi, una collaborazione parlamentare non è una bestemmia. Da qui a dire che noi partecipiamo alle primarie del Pd ce ne corre. A me verrebbe l’orticaria a mettermi in fila ai gazebo del Pd e non ci ho mai pensato. Un’altra cosa però è dire che fra Renzi e D’Alema è meglio Renzi e che fra Giachetti e Morassut è meglio Giachetti, ma sia chiaro che io non voterei per nessuno dei due. Per questo io mi aspetto che, se in Libia succede quel che deve succedere, Berlusconi torni sui suoi passi e riapra una stagione di collaborazione nazionale nell’interesse del Paese. L’ideale sarebbe un Nazareno libico. Con L’Isis alle porte ne va del nostro futuro. Così come spero che Renzi in politica estera qualche consiglio da Berlusconi lo accolga. Sugli esteri resta sempre la mente più lucida”.

Di più su questi argomenti:
  • David Allegranti
  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.