Evviva il processo contro il concorso esterno

Piero Tony
Come una sentenza ha messo a nudo il simbolo di tutti i reati fuffa: “Non si può essere condannati solo per concorso esterno”. Perché combattere contro la giustizia ectoplasma.

E’ davvero la fiaba dello Stento, dopo decenni ancora oggi si deve continuare a discutere su quell’obbrobrio giuridico costituito dal concorso esterno in associazione mafiosa. E sempre in maniera vibratissima, perché chi lo sostiene è probabilmente mosso da importanti pulsioni savonaroliane che non possono tollerare di vedere impunita la fascia grigia dei rapporti di connivenza con il contesto territoriale e chi lo nega è soprattutto preoccupato per importanti anzi fondamentali principi di spessore costituzionale. Pare che qualche giorno fa per codesta contestazione di concorso esterno un gip di Catania (Bernabò Distefano) abbia emesso un proscioglimento ritenendola – come molti altri tecnici del diritto – non prevista dalla legge ma solo incondivisibile interpretazione giurisprudenziale degli articoli110 e 416 bis cp; che sia subito insorto il dirigente di quell’ufficio definendo quella conclusione – in sintonia con molti altri tecnici del diritto – come inaccettabile opinione personale. Al solito, una radicale contrapposizione di opinionisti.

 

Il procuratore Caselli con un indignato articolo sul Fatto ha bollato – come molti altri – il revisionismo negazionista del gip. Per parte mia invece credo – come molti altri giudici che potrebbero avere quasi la stessa autorevolezza di Caselli – che quel gip abbia fatto e detto cose sacrosante e giuste. Dovrebbe bastare questa radicale antitesi – in aggiunta all’ondivago orientamento giurisprudenziale anche di Sezioni Unite della Cassazione – per ingenerare prudenza e qualche dubbio e qualche preoccupazione per la sorte dei tanti indagati, imputati e condannati in ordine a quell’evanescente ipotesi di reato. Ma andiamo con ordine. Partendo dalle due tipologie di concorso previsti dalla legge (concorso “eventuale” dell’articolo 110 cp e concorso “necessario” quale quello degli articoli 416, 416 bis cp), diventate poi tre con l’aggiunta giurisprudenziale del così detto “concorso esterno in associazione mafiosa” (per quanto si dirà forse sarebbe stato più esatto, ma anche più palesante e dunque ancor più facilmente criticabile, denominare quell’etereo delitto “reato di concorso nel concorso” e nulla più ). Il delitto di associazione per delinquere sia o non sia di stampo mafioso (articoli 416, 416 bis cp) è reato a concorso necessario di persone nel senso che può sussistere solo con il concorso di più persone, almeno 3. Esso, sia o non sia di tipo mafioso, come noto è dalla legge configurato come reato a forma libera ossia a condotte non tipizzate – fermi restando naturalmente, quanto all’articolo 416 bis, sia metodo mafioso che forza intimidatrice che conseguenti condizioni di assoggettamento ed omertà – ma a composizione predefinita e chiusa quanto ai soggetti attivi nel delitto, nel senso che esso esiste solo grazie alla loro presenza associata, che pertanto ne è elemento costitutivo e condizione necessaria. E’ evidente, pertanto, che tale “plurisoggettività essenziale e necessaria” è norma speciale (per espressa definizione della legge occorre che al pactum sceleris partecipino almeno tre persone e che queste non possano che essere o associati o promotori o costitutori o organizzatori o capi) rispetto al concorso eventuale previsto e regolato in via generale per tutti i reati dall’articolo 110 cp e scomodato dai fautori del concorso esterno, quell’articolo 110 cp che dice “… quando (quindi non necessariamente, ndr) più persone concorrono nel medesimo reato, ciascuna di esse soggiace alla pena per questo stabilita…”.

 

E’ tutta un’altra storia! A parte il nome, realtà giuridiche assolutamente diverse e lontane tra loro non compenetrabili anzi gnoseologicamente incompatibili (come morto ma non troppo o bagnato ma un po’ asciutto, tanto per intenderci). E non solo perché, da che mondo è mondo, la regola speciale fagocita quella generale, tant’è che a nessuno verrebbe in mente di pensare alla lucertola come ad un sauro, al pipistrello come ad un chirottero, alla nonna come anziano rappresentante del genere umano e così via; ma anche perché è lo stesso codice penale a ricordare a zelanti e distratti che “quando più leggi penali o più disposizioni della medesima legge penale regolano la stessa materia, la legge o la disposizione di legge speciale deroga alla legge o alla disposizione di legge generale, salvo che sia altrimenti stabilito (articolo 15 cp e 9 legge numero 689/1981). Eppure al mondo c’è chi ha pensato, forse solo per lodevole ansia punitiva nei confronti delle zone grigie del “patto scellerato ” menzionato dal procuratore Caselli, che la norma speciale del concorso necessario (articoli 416, 416 bis cp) e la norma generale di quello eventuale (articolo 110 cp) potessero filare tanto d’amore e tanto d’accordo da poter integrare con il connubio il nuovo reato di concorso esterno in associazione criminale, contemporaneamente dentro e fuori come la fata turchina, un pezzo di qua uno di là ed il gioco è fatto. Il concorso di persone, di cui all’articolo 110 cp, regola generale operante per tutti i reati e dunque per qualsiasi reato, per legge non può che essere interno al reato e mai esterno come declamano invece i fautori del concorso esterno, proprio perché a chiarissime lettere l’articolo 110 cp vuole prendere in considerazione solo persone che concorrano “nel medesimo reato”.

 

E la ragione, semplicissima, è che con il vigente articolo 110 del codice Rocco del 1930 si volle prendere le distanze dal vecchio codice Zanardelli del 1889 che, facendo molti “distinguo”, sul punto si era dimostrato poco operativo; prevedeva infatti sanzioni e trattamenti penali diversi distinguendo (con intuibili difficoltà precettive ed accertative) tra compartecipazione materiale e morale, tra correità e complicità. Tagliando la testa al toro come si suol dire, il vigente codice Rocco previde che “l’evento deve essere messo a carico di tutti i concorrenti che con la propria azione contribuirono a determinarlo… e perciò a ciascuno dei compartecipi deve essere attribuita la responsabilità dell’intero… dall’esame dei casi della pratica si apprende che la preordinata catalogazione dell’entità dell’apporto di ciascun concorrente non può essere che arbitraria, perché in concreto il giudizio è in relazione ad un’infinità di circostanze, che sono sottratte ad ogni previsione,essendo il loro valore diverso nelle innumerevoli modalità dei fatti” (relazione al progetto definitivo – numero 134). Torniamo alla nostra ipotesi di concorso esterno in associazione mafiosa, cioè di asserito concorso in sodalizio mafioso da parte di persona forse connivente ma che mafiosa non è. Viene naturale: per zone grigie e sfuggenti si impongono norme grigie e sfuggenti. Ovvio. Visto che codesta persona non risulta pacificamente mafiosa, per poterla “attenzionare” con indagini di verifica il solo articolo 416 bis cp da solo non basta e non serve. Tant’è vero che, anche per non lasciare impuniti quelli delle fasce grigie e del “patto scellerato”, si è dovuto ricorrere… “all’esterno ” . Né per attenzionarla serve e basta, evidentemente, il solo articolo 110 cp, quello del concorso nel “medesimo reato” con responsabilità per l’“intero”come precisa la relazione. Non serve e non basta perché serve a regolare – come detto – il comune concorso “eventuale” e non già quello specifico e “necessario” dei reati associativi. Presi separatamente quei due articoli non possono servire a nulla, insomma, nella lotta contro il crimine delle zone grigie ed ecco perché dal cappello è saltata fuori l’accoppiata. Da anni mi chiedo come i fautori del concorso esterno abbiano potuto applicare all’articolo 416 bis cp quell’articolo 110 cp che perentoriamente esordisce non con la previsione di un concorso esterno ma, al contrario, con un “quando più persone concorrono nel medesimo reato….”.

 

E come abbiano potuto superare ogni possibile obiezione sul punto. Quale sarebbe il medesimo reato? Quello interno o quello esterno? Dall’interno verso l’esterno o viceversa? Perché sarebbe davvero grave se, con una sorta di sofisma tipo petizione di principio che sa tanto di artifizio, al fine di superare qualsiasi obiezione, si fosse posticipata la causa all’effetto invertendo le linee di partenza e traguardo del percorso logico; tanto da ritenere oggi sussistente quel tipo di reato che invece sarà ravvisabile solo domani e, come se non bastasse, solo grazie all’interpretazione della norma sub iudice… insomma mi apro nel frattempo la strada facendo qualcosa che non potrei fare. Conflitto di interessi? Gioco delle tre carte? Bah! Sarebbe così semplice, lineare, bello e giusto applicare le regole senza forzature e trattare i reati comuni come comuni e basta, senza rincorrere le utili agevolazioni investigative previste per chi indaga sulla mafia. E quelli mafiosi come mafiosi, con ordinata individuazione dei ruoli direttivi o associati nonché delle varie tipologie partecipative sia materiali sia morale. Ma in entrambi i casi, fare giustizia verificando in tempi rapidi se ogni indagato abbia materialmente o moralmente conferito un qualche contributo causale apprezzabile e concreto alla verificazione del fatto. E combattere quelli delle zone grigie del patto scellerato prima con l’educazione (furbetti e ganzini si combattono con la scuola, diceva mio nonno e mi pare ancora attuale) ossia con la prevenzione – che vuol dire mediazione e quella lotta alle ingiustizie e all’incultura civica che Giovanni Falcone invocava nel secolo scorso – poi con la giustizia “riparativa” e della persona. Utopia? Bah! Tutto il resto è contraddizione in termini, logica delle sensazioni, uno stiracchiare oltre il consentito la rete da pesca per arrivare alle fasce grige, è fuffa. Da decenni mi chiedo a chi possa essere venuta in mente per la prima volta – ci deve essere per forza un primo! – l’idea di un concorso interno… ma allo stesso tempo esterno… esterno ma non troppo. E’ solo fuffa parlare di concorso esterno quando per legge il concorso può essere solo interno ed organico. O ipotizzare un concorso da parte di chi non è associato in un reato che proprio nell’associazione si integra mediante l’affectio societatis dell’associazione stessa. E’ fuffa ricorrere al concorso morale e nascondersi dietro queste due parole quando la condotta non è di tale valenza da rendere l’autore annoverabile nei ruoli che la giurisprudenza ha ben precisato secoli fa, cioè quelli di istigatore o rafforzatore. E conseguentemente è fuffa il rincorrere indicatori che, vaghi come ectoplasmi, non assurgono a prova quantomeno di partecipazione consapevole ma che – di volta in volta ravvisati in frequentazioni improprie, incremento del rischio per la società civile, attività mediatoria o di cerniera, cointeressenza etc. etc. etc. – hanno consentito di materializzare fantasmi e pertanto impedire non di rado qualsiasi difesa concreta. Il procuratore Caselli ha tutte le ragioni quando dice che la criminalità organizzata si nutre anche di forze conniventi del contesto sociale e che alcuni comportamenti non dovrebbero restare impuniti. E’ palese che essa sia agevolata e prosperi grazie agli egotismi e alle diffuse timidezze del territorio, alla corruzione ed all’ignoranza, ad una riservatezza storica che qualche volta può rasentare l’omertà, all’ingiustizia sociale e all’incultura civica di cui parlava Giovanni Falcone come causa principale del fenomeno, alle disinvolture imprenditoriali. E’ palese, sono condotte e comportamenti/atteggiamenti spesso di marcata pericolosità che sarebbe logico e doveroso perseguire, purché senza forzature giurisprudenziali ideate per inseguire umori. Stringi stringi penso che, almeno fino a quando non sia modificato il quadro normativo, vada abbandonata la malaprassi del concorso esterno ed incrementata nel contempo l’attenzione per i reati-fine (che, meno evanescenti di qualsiasi concorso esterno, proprio delle fasce grigie costituiscono il tessuto connettivo) al fine di potersi accontentare… nell’attesa dei risultati socioeducativi o di una novità legislativa… di punirne gli autori, sia diretti che concorrenti interni ex articolo 110 cp. In conclusione, a mio sommesso giudizio fino a quando non cambierà il codice penale continuerà ad avere tutte le ragioni del mondo l’ingiustamente vituperato (ingiustamente e da pochi) gip di Catania.