Parla il sindaco di Firenze
A cosa puntano i nemici di Renzi che strumentalizzano le primarie. Parla Nardella
Milano. “La verità è che c’è quasi sempre una coda polemica sull’esito delle primarie. Tutto è migliorabile, certamente. Ma è assurdo farne un pretesto per delegittimare l’unico strumento di democrazia partecipata che esista per selezionare i candidati. Le primarie sono un metodo che funziona”. Senza se e senza ma, è il pensiero di Dario Nardella. Ieri, su Repubblica, Stefano Folli scavava nel paradosso delle primarie del Pd che funzionano solo a Milano e al sud no, segno di un partito spaccato. Nardella sta alla metà geografica, è sindaco di Firenze per il Pd (renziano) ed è stato scelto tramite primarie. E’ una specie di smentita vivente a Folli: “E come me, prima, è stato scelto con le primarie Matteo Renzi, e chi dice che lo strumento non funziona dovrebbe pensare che, senza, oggi forse non avremmo neanche un governo di sinistra”. Eppure, nel Pd e fuori, c’è chi dice no. “Inizierei dalla volpe e l’uva, da Esopo. Prendi i Cinque stelle e i loro pochi clic: un sistema più democratico? Prendi il centrodestra: vorrei ma non posso… Prendi la Lega e i suoi gazebo improbabili. Hanno trovato uno strumento migliore, più trasparente, per selezionare i loro? No, la verità è che le primarie migliorano la scelta dei candidati, sono democrazia diretta e hanno anche un’altra enorme funzione: sono l’unico vero margine all’antipolitica”. Però c’è anche chi, come Bersani, dice “così gli elettori non ci seguono”. Come gli risponderebbe?
Dario Nardella non vuole nemmeno prendere in considerazione la possibilità che scagliarsi contro le primarie – per un euro? per le schede bianche? – possa essere una scusa per delegittimare le primarie in quanto tali, e un metodo che è aperto e trasparente. “Sul fronte interno è la stessa cosa, la volpe e l’uva. Ma non c’è niente di peggio di voler usare le critiche per dei secondi fini. Ricordo qualche punto. Primo, le primarie non le abbiamo inventate noi ‘renziani’. Come non abbiamo inventato noi lo slogan della fedeltà alla ditta. Però non è possibile che questa fedeltà alla ditta funzioni a fasi alterne”. Spiega, il sindaco: “Quando Matteo Renzi perse le primarie per la segreteria – e lì sì che erano state modificate le regole – non ha fatto ricorsi, non ha contestato. Ha accettato il giudizio e il metodo. E da lì è ripartito. Non voglio nemmeno pensare che ora uno come Antonio Bassolino abbia partecipato alle primarie con il retropensiero di fare poi un’altra cosa, in caso di sconfitta. Oppure ricordiamoci di Milano – dove anche stavolta le primarie hanno funzionato benissimo. L’altra volta vinse Giuliano Pisapia, che non era il candidato del Pd, proprio in virtù di una capacità di allargare la platea e la partecipazione democratica. Questo è il grande valore delle primarie. Se non fosse così, si tratterebbe di usarle per ritagliarsi un posto in classifica, o peggio per fare dei regolamenti di conti”.
Però c’è anche un altro aspetto. Il metodo delle primarie è identificato, persino da molti nel Pd, evidentemente, come un metodo “renziano” per selezionare una classe dirigente, per una presa di potere, il famoso “non siamo credibili”. E l’impressione è che contestare il metodo serva a contestare il suo maggiore sponsor. E’ così? “Non credo che sia così. Invece credo che il vero fatto che ci renderebbe poco credibili con i cittadini è proprio il contrario, dire che le primarie non funzionano. I nostri elettori sono estremamente sensibili su questo, credono a questo strumento di democrazia diretta. Si sentirebbero presi in giro se dicessimo che non valgono nulla”. La questione centrale, per Nardella, non sono però le polemiche interne su questi aspetti, ma un punto politico: “Se qualcuno rimpiange la selezione dei politici, o dei candidati alle amministrative, come avveniva nella Prima Repubblica, attraverso gli apparati di partito – di tutti i partiti – dovrebbe riflettere su questo: è stata la delegittimazione dei partiti a mettere in crisi quel sistema di selezione tradizionale. Il risultato è stato l’antipolitica, o l’astensionismo sempre più diffuso. Le primarie sono, e lo si è già dimostrato, lo strumento nuovo e credibile per quella selezione. E dunque anche il miglior argine all’antipolitica. Chi nega questa funzione positiva non si sta accorgendo dell’impressionante allargamento del partito del non voto. Ma è ancora l’esempio della volpe e l’uva: se si utilizzasse anche fuori dalla sinistra il metodo delle primarie, quel partito del non voto troverebbe più argini. Altrimenti, trovino un’alternativa”.
C’è insomma un altro aspetto virtuoso, l’allargamento-riavvicinamento dell’elettore alla politica. “C’è un elettorato stanco da recuperare. Le primarie ben fatte possono allargare il bacino di utenza anche fuori dai tradizionali perimetri”, ragiona Nardella: “Uno non andrebbe a votare per la sinistra, ad esempio, ma se invece può scegliere in una consultazione libera un tipo di candidato che ‘non gli andrebbe male’ come sindaco, alle primarie lo può fare, e allora magari partecipa. Come è capitato”. Cambiando esempio e latitudine, è un po’ quello che sta avvenendo per la maggioranza di governo: c’è un’area non solo politica che non è di sinistra ma sente di poter appoggiare il governo come quello di Renzi. “Io dico questo: le primarie aprono la democrazia, non la chiudono”.
L'editoriale dell'elefantino