Michele Emiliano, presidenete della regione Puglia

La grammatica di Michele Emiliano, pm trapezista un po' Chávez e un po' Totò

Salvatore Merlo

Le mutazioni del governatore della Puglia che negli intrichi della sua amministrazione mette le pezze, manda baci ed è prudente, ma non appena esce dal Palazzo si trasforma in un televenditore.

Lungo come la sua Puglia, ma largo come la Sardegna, con la faccia piena e l’aria simpatica, quando a Bari passeggia vicino casa lungo via Piccinni, Michele Emiliano parla con tutti, tocca, abbraccia, stringe e stritola, per strada come nelle due pizzerie che alla sera spesso riempie della sua vasta e allegra presenza, da Gianni o alla Dregher, che sono poi i luoghi nazional popolari della sua città. “Emiliano a Bari è una febbre, un fenomeno febbrile della politica”, ha detto una volta Michele De Feudis, giornalista del Corriere del Mezzogiorno. E davvero il presidente della Puglia sembra il protagonista assoluto d’una congiuntura sociologica e politica di smodata esuberanza. Tra scaltrezze, espedienti, astuzie, imbonimenti, ripulse e sedizioni lui dirige la Puglia come si dirige un organetto: nel Palazzo, dove a dir il vero non brilla per i provvedimenti amministrativi, ascolta, rinvia, accomoda, aggiusta ogni cosa con il suo fedele Gianni Paulicelli, un signore che oggi gli fa da autista, da ombra e da consigliere tutto fare, ma che negli anni Novanta è stato figura mitologica delle televendite su Tele-Bari (“Boom dei prezzi!”, urlava con il microfono in mano).

 

E dev’esserci proprio un legame di codice, di grammatica, di cultura e persino di semantica con la televendita, perché se negli intrichi della sua amministrazione, Emiliano mette le pezze, manda baci ed è prudente, non appena esce dal Palazzo invece si trasforma in un televenditore. E allora si fa venire in mente quindici sparate pubbliche e diciotto trovate a effetto per i giornali e le televisioni, locali e nazionali, che ovviamente stravedono per questo serbatoio ambulante di paradossi, trapezista provetto capace di volteggiare nello stesso tempo sulle parallele dello sviluppo meridionale e della guerra allo sviluppo meridionale, dal canottaggio della lotta alla clientela al motocross del reddito di cittadinanza (con quali fondi?), dalla maratona contro gli sprechi al tiro al piattello d’un referendum sulle trivelle che tuttavia costerà 300 milioni d’euro (e non serve a niente), fino al salto in lungo da Renzi a Grillo, e viceversa, a seconda di come conviene. Pare che in Puglia – genio – lui abbia così assorbito e neutralizzato i cinque stelle, con i suoi discorsi dal tono tra il pugnace e il furbesco, un po’ Chávez e un po’ Totò. D’altra parte non parla ma spumeggia, trabocca, e va a Piazza Pulita come Carlo Conti va a Sanremo, o si fa intervistare dal Fatto, giornale che un giorno sì e l’altro pure gli recita un panegirico così esagerato che sembra quasi un’epigrafe in memoria. E insomma Emiliano è sempre lì dove è più facile fare populismo da rotocalco: l’Ilva e il Gasdotto che non s’ha da fare, gli untori della Xylella e il petrolio cattivo, fino alla proposta di un assegno regionale da staccarsi a tutti i professori pugliesi assunti dal governo e costretti a trasferirsi al nord per guadagnare il pane. E i soldi? “Mo’ vediamo”.

 

Un autentico campione, così occupato e preoccupato a tenersi in piedi che trascura spesso ogni altra mansione o pensiero, diurno e notturno. Una volta un cronista, inseguendolo tra il lungo mare e il triangolo murattiano, il centro ortogonale di Bari, quella zona elegante dalle strade dritte e ottocentesche, notò che questo politico che sbaglia sempre cravatta e veste con sciatteria, aveva una parola per tutti, come Papa Francesco: il giornalista calcolò all’incirca un’ottantina di baci, dati e ricevuti per strada, altro che Cuffaro, il che s’inquadra in una certa tradizione politica meridionale, pasticciata e ammiccante a ogni istinto, a ogni umore, a ogni elettorato. E d’altra parte quando questo magistrato da undici anni – undici anni! – in aspettativa fu eletto per la prima volta sindaco di Bari, città nella quale aveva indagato con gran clamore da pm, dichiarò d’ispirarsi a Rudolph Giuliani, ma pure a Che Guevara. Ma che è un trapezista, s’è detto. Mise sotto inchiesta la missione Arcobaleno di Massimo D’Alema, poi divenne un sostenitore di D’Alema. Diceva peste e corna di Berlusconi, si presentò persino al processo contro Dell’Utri, ma nel 2013 srotolò un manifestone sulla facciata del comune: “Caro Silvio, bentornato a Bari”. Un giorno paragonò Matteo Renzi a Napoleone, niente meno, poi cambiò idea: “E’ un venditore di pentole”. Ecco, un principio di governo di Napoleone, enunciato con franchezza da lui stesso, era che “alla folla bisogna sempre offrire feste rumorose, perché gli imbecilli amano i rumori e la folla è fatta di imbecilli”. E con Emiliano è tutta una festa.
 

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  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.