Assimilazione o ghetto?
Tutti i commentatori dei tragici fatti di Bruxelles si sono detti inquieti per la formazione e l'esistenza di ghetti che starebbero rendendo più pericolose le città europee. Se non che Molenbeek è un ghetto riuscito: se lo si ritrova infarcito di islam radicale e di sharia non è colpa dell'idea di ghetto in sé ma della non-idea di un Belgio che da quaranta anni tutti hanno rinunciato a governare. D'altronde se Bruxelles è potuta diventare capitale dell'Unione europea è perché prima non era capitale di nulla.
Ghetti o politiche di assimilazione: sono questi i modelli di integrazione conosciuti. Quello americano, una lunga giustapposizione di ghetti, è quello che ha funzionato meglio. Italiani con italiani, cinesi con cinesi, neri con neri, ispanici con ispanici, la prossimità degli spazi induce conflitti violenti al confine del ghetto, suscita forme striscianti o aperte di razzismo eppure questo non ha impedito lo sviluppo delle singole etnie e spesso la promozione individuale, riaprendo in qualche modo l'ascensore sociale.
L'altro modello lo chiameremo alla francese (voto 3), rifiuta il concetto di ghetto e punta a trasformare l'immigrato in qualcuno culturalmente assimilabile, principalmente attraverso il sistema della pubblica istruzione, la scuola, trasmettendo e inculcando i valori repubblicani e i principi universali di libertà, uguaglianza e fratellanza.
Gli americani che sono pragmatici riducono la cosa all'osso, scrivono la parola Dio sul dollaro e arruolano nell'esercito: chi crede nel successo ed è pronto a morire per la patria ha i titoli per dirsi pienamente americano anche se parla una strana lingua. E' dunque più facile e immediatamente intuibile sentirsi americano vivendo nel Bronx o a Chinatown che francese stando nella periferia di Parigi o belga stando in quella di Bruxelles, il che ci dice quanta strada c'è da fare per sentirci un giorno europei in Europa.
Il multi culti meticciato ovvero l'incrocio delle singole traiettorie, dei singoli modi di vivere e di credere è di gran lunga più pericoloso del ghetto, dove almeno le singole comunità possono auto-difendersi, controllare parte del proprio territorio e perché no autogovernarsi.
Molenbeek è un quartiere di centomila persone, al 90 per cento composta da immigrati del nord Africa, marocchini e tunisini, tutti di religione islamica: sarebbe un ghetto povero ma riuscito e tranquillo se le autorità belghe (voto 3) non avessero lasciato fare di tutto per conformismo, clientelismo e cupidigia dei soldi sauditi.
Nei ghetti americani quando la polizia decide di entrare entra, a nessuno è consentito sottrarsi alla cattura perché protetto dalla popolazione amica. E' una questione di principio. L'assimilazione è morta, viva il ghetto.
CARPE DIEM!
E' tornato in Italia Varoufakis, il compagno Varou che piace alle donne. Sta facendo un tour di promozione del movimento che ha fondato, DIEM 25 che si ripropone di fondare una diversa Europa (dei popoli) entro l'orizzonte del 2025. Troppi fondatori e rifondatori a sinistra ma erano quasi tutti a sentirlo o a spiarsi l'un l'altro come è buona abitudine. Seduto in sesta fila, appartato e velenosamente accigliato come il suo solito, Toni Negri, the revenant. Una signora si è risentita per la sua presenza e ha abbandonato il luogo. Il mondo è davvero pieno di trinariciuti che si fanno un punto d'onore a serbare rancore anche se non si capisce contro chi e a che titolo. Il portavoce dell'ex ministro greco ha detto che Negri è intellettuale mondialmente noto e solo in Italia non gode di molto apprezzamento. Noi ci vogliamo molto bene a Toni Negri ma severgninianamente (voto 9) qui noi italiani we know our chicken.
EMMA, EMMA
Meno male che c'è ancora Marco (a tratti) e c'è ancora con tutta la sua testa, Emma (voto 10 a entrambi). L'hanno fatta aspettare ore prima di darle la parola, non ricordo più se Floris o Giannini, i fratelli coltelli del talk show. Valeva la pena aspettarla Emma. Andare in Libia, ma siete matti, a fare che? Abbiamo appaltato la frontiera esterna dell'Unione europea alla Turchia e nemmeno ce ne siamo accorti, paghiamo 6 miliardi perché ci tenga lontani dai problemi, un'ignominia.
Per capire basta ricordarsi della cena in pompa magna tra i Ventotto che attorno al tavolo si accapigliano sui ratio degli scambi, un rifugiato che va, uno che viene, sui soldi e altri favori da concedere ad Ankara. Finito il mercato delle vacche e raggiunto un accordo, una delegazione dei ventotto capi di stato e di governo si accuccia ai piedi di un piccolo primo ministro che è un fascio di levantina furbizia: il primo ministro, nemmeno il presidente Erdogan. Se questa Europa non è en folies.
LA GUERRA DI ROMA
Mi è capitato di sentire un po' più a lungo Virginia Raggi (voto 6) la candidata dei 5 stelle a sindaco di Roma. Avevo e ho ancora nei suoi confronti un pregiudizio favorevole, la storia della sua battuta su Acea che avrebbe depresso il corso del titolo in Borsa e fatto perdere 71 milioni di euro ai romani è francamente una stronzata, i titoli scendono e salgono, poi riscendono e poi risalgono, (Bobo Giachetti, voto 7, dovresti inventarti migliori polemiche, i motivi non mancano. Ripeto fin qui insomma la Raggi mi sembrava andasse. Poi si è messa a parlare un po' più in dettaglio di corruzione, trasparenza, appalti, buche stradali, quartieri della periferia abbandonati da dio e dai costruttori, mercatini abusivi, la totale insomma. E' sempre spigliata, telegenica, sorridente, educata e relativamente sicura di sé. Ma la corazza, la durezza, la cattiveria ancora non le sento: mi è parsa tutto legalità e trasparenza, valori importanti che non possono però essere la chiave esclusiva per governare una città come Roma. Più che espressione della sedicente rivoluzione a cinque stelle mi è parsa la diligente allieva del procuratore anti-corruzione Raffaele Cantone. Signora Raggi, faccia qualche sforzo.