Riecco la parola “Radicali” alle elezioni. E già crea malumori interni
Roma. Il simbolo è nuovo – un cerchio giallo con quattro strisce colorate e la scritta “Radicali federalisti, laici, ecologisti” – ma non c’è nessuna aria di nuovismi, nella storica sede radicale di via di Torre Argentina, anche nota per la stanza del mito, del fumo e delle riunioni con Marco Pannella. Anzi: i Radicali italiani hanno pronta “un’offerta politica” non nuovista per le amministrative a Roma e a Milano (a Roma il segretario Riccardo Magi presenterà dodici punti programmatici, con lista, al candidato dem di storia radicale Roberto Giachetti; a Milano il presidente di Radicali italiani e consigliere comunale Marco Cappato ha già presentato la propria candidatura a sindaco). Non nuovista, nel senso che la forza dell’azione deve venire dal passato: la nostra storia è la nostra garanzia, è il messaggio; non promettiamo miracoli, è l’orgogliosa presentazione di sé, declinata in nome dell’invito a “guardare alle cose che parevano incredibili e invece sono state fatte grazie a noi”: operazione trasparenza alla Regione Lazio durante il governo Polverini; denunce su appalti e campi rom a Roma come preludio alle inchieste di Mafia Capitale durante la consiliatura Marino; caso “Firmigoni-Formigoni” a Milano.
“C’è nel paese”, dice Magi, “una forza politica laica, liberale, che crede nel federalismo europeo e in un ecologismo moderno… in Spagna si sono fatti avanti i Ciudadanos. Sono convinto che qui tocchi a noi”. “Non esistono soluzioni di governo delle città che non siano anche transnazionali”, dice Cappato, che invita a riflettere sullo “specifico italiano” ricordando le tante “proposte” radicali di cui “non ci è accorti per tempo” e che poi si sono rivelate in anticipo sui tempi. Ed è sul passato che insiste anche una Emma Bonino-nume tutelare che invita a “pagarsi il lusso di avere un paio di radicali in consiglio comunale: un moscerino in grado di disturbare il pachiderma”. E l’iniziativa su Roma e su Milano sembra simbolicamente fatta anche pensando al vecchio leone malato, il Pannella evocato e assente in Torre Argentina – “fa un certo effetto non vederlo”, dice un cronista anziano che non può fare a meno di cercarlo con lo sguardo, pur sapendo che non può essere lì, dove l’azione radicale non può aggirare, intanto, il tema del rapporto con il Pd. “Rapporto difficile” ma si spera “costruttivo”, dice Magi, già consigliere negli anni dell’Ignazio Marino sindaco e ora pronto a offrire a Roberto Giachetti – candidato dem considerato “più attrezzato” degli altri “a cogliere la proposta” stessa – i dodici punti che potrebbero “rendere la sua candidatura un’occasione di cambiamento radicale”, magari parlando non solo del “cosa fare” ma anche del “come farlo”. A Milano, invece, dice Cappato, i Radicali non si sarebbero presentati se non si fosse creato un caso “referendum” – quattro quesiti “depositati nove mesi fa” e ancora fermi all’angolo. Ma ora la candidatura deve assumere anche la forma di una “lotta radicale per la conoscenza di quello che è stato fatto…”.
E però, mentre il tesoriere Valerio Federico ricorda che anche “quest’avventura” è fatta “senza soldi e senza finanziamento pubblico”, sottotraccia si agita un piccolo mare di malumori interni. Circola nel partito già da ieri, infatti, un documento critico (a cui ha lavorato Maurizio Turco) che verrà probabilmente reso noto oggi e in cui la presentazione di “liste radicali” alle Amministrative viene letta come “fatto incomprensibile e senza precedenti, almeno da quando gli statuti di tutti i soggetti della galassia radicale hanno precluso la presentazione in quanto radicali a qualsiasi tipo di elezione (…); senza precedenti anche in fatto di contenuti (…)”. Ieri poi, sempre sottotraccia, c’era chi riferiva di una Rita Bernardini che sbottava all’idea di vedere il “soggetto politico” Radicali italiani che “autonomamente decide” di candidarsi alle elezioni. E insomma pare che non tutti i radicali storici siano anche “numi tutelari” dei candidati.