E se il Partito della nazione nascesse (anche) intorno al petrolio? Indizi
Gli orfani del berlusconismo smagliante vanno dicendo in giro le solite malignità inconsolabili: il Cav. questa volta, alle amministrative, e dopo chissà che altro, vuole vincere perdendo o perdere vincendo. La chiamano pax renziana, il volto aggiornato del Nazareno che fu. Aggiungono che le sue espettorazioni anti governative sono un saggio di pirandellismo capovolto: in bocca il fiele e in corpo il miele, l’ambrosia del sopravvivere aggrappato in segreto alla stella del figliol che mai ebbe: Matteo da Pontassieve. Obiettivo: bagnarsi nella realtà di una dismissione morbida, percettibile appena, divincolandosi dalla politica dei sogni impossibili, e cioè tornare grande e solo al governo, con alle spalle un partito solido, coeso, giovane e affacciato sul futuro.
Magari fosse, e invece no. Berlusconi starebbe pensando di privatizzare quel che rimane del suo volto pubblico, vendendo e fondendo lacerti di Mediaset con Vivendi e Telecom, abbandonando alla deriva Forza Italia. Sai che novità, obietteremmo: è almeno un lustro che le prefiche di centrodestra danno il Cav. in (semi) libera uscita dalle tempeste di Palazzo. Eppure qualche segnale c’è. L’idea Bertolaso, per esempio, quella pervicace insistenza sul suo ruolo di gestore impolitico d’emergenze nazionali, si sta riverberando anche nel cortile infestato di Forza Italia. Chi, se non l’ex capo della Protezione civile, dimestico com’è ai disastri, potrebbe incaricarsi di amministrare la metamorfosi di un partito tutto macerie e distintivi scaduti? Fuor di metafora: Guido Bertolaso difficilmente vincerà la corsa per il Campidoglio, ammesso che non si eclissi prima la sua candidatura; ma Berlusconi non pensa a lui come al sindaco della Capitale, lo immagina alla guida di una cosa nuova e senza briglie di opposizione a incatenarlo. Sarebbe lui il predestinato per riaprire una stagione di dialogo mai del tutto spento con la maggioranza di governo, a cominciare dai mandarini del moderatismo sparsi qua e là (occhio alla Sicilia, dove Alfano occhieggia al Pd per prendere il posto di Rosario Crocetta ma la massa critica dei suoi pencola verso il Cav.). Se poi Bertolaso sarà anche il contraente d’un patto di sistema, si chiami questo Partito della nazione o PdI (Pd+FI=Partito d’Italia), è ancora presto per sussurrarlo.
Epperò la meta non è altrove. Il che – dicono mesti dal cerchietto magico del Caimano – spiegherebbe la sopraggiunta ineffettualità delle graziose Furie berlusconiane (i nomi li conoscete); la centralità di Fedele Confalonieri che si fa araldo della sindacatura milanese di Giuseppe Sala; la sospensione delle ostilità antirenziane imposte ai direttori di testata delle reti Mediaset; la difesa dell’ex ministro dello Sviluppo, Federica Guidi, sul presunto scandalo Tempa Rossa; l’assenza di una linea unitaria sul referendum No Triv e, peggio, sul referendum autunnale che dovrebbe incorniciare le riforme costituzionali (FI le votò, prima che il Nazareno rovinasse come le case aquilane).
Il pozzo di estrazione Gorgoglione 2, che fa parte del progetto Tempa Rossa di Total, in Basilicata (foto LaPresse)
Il dossier energetico è una buona pista lungo la quale decrittare alcuni indizi. In continuità e contiguità con l’impostazione berlusconiana, Renzi sta ricalibrando l’assetto del Pd in chiave gas-petrol-centrica. La special relationship con Vladimir Putin e Al Sisi resiste a ogni scossone di facciata, compresa la naturale incazzatura per l’affaire Regeni. E così pure il delicato gioco di equilibri con i potentati energetici francesi (da Total in giù), per addomesticare una competizione con l’Eni il cui esito fatale dovrebbe culminare nella composizione d’una nuova mappa geo-politica del nord Africa, a partire dalla Libia, per poi spaziare con lo sguardo (e il portafogli) fino a Teheran. Ma senza per questo inaridire i buoni e insostituibili rapporti con Israele e Washington, ovviamente. Sono acrobazie e scommesse che avvicinano Renzi e Berlusconi più di quanto appaia in superficie. E che non per caso alimentano un processo eguale e contrario ai margini estremi del Partito del petrolio: è il rassemblement, per ora tutto teorico, che tiene insieme i Cinque stelle e i leader regionali neo ambientalisti della minoranza del Pd (tendenza Michele Emiliano) con al fianco il partitino delle manette (c’entra sempre Emiliano) e con una spruzzatina di opposizione destrorsa (il putinismo di Matteo Salvini è troppo onirico per sradicare il Cav. dalle sue convenienze). Il bipolarismo di domani forse sta già nascendo e, a quanto pare, si nutre anche d’idrocarburi.