Errori dell'ex ministro dello Sviluppo: solo per amore
Come diceva Friedrich Nietzsche, ciò che accade per amore accade sempre al di là del bene e del male. E la ministra, anzi l’ex ministra Federica Guidi, se è risultata inopportuna e degna di deprecatio, è soltanto per ragioni di cuore (“utilizzata finale”, ha detto di lei inesorabile Massimo Gramellini sulla Stampa qualche giorno fa, ma non è tutto qui il punto).
Le intercettazioni principali, fra quelle che oggi crocifiggono la giovane industriale giudicata fino a ieri da tutti come una donna di raro talento e innumeri speranze, sono un sillabario d’ingenuità sentimentale, ansia e premura coniugali. E poi disillusione, sorpresa, paura, lamento dolente, infine sbuffo lacrimevole e rabbioso contro l’uomo più furbo di lei, da lei percepito ormai come uno stronzetto, e aggressivo come ogni vero accollo. Vanno lette con il cuore in mano, come frammenti di un discorso amoroso spento nel sale, queste intercettazioni in cui Federica, dopo averlo protetto e incoraggiato e reso edotto su quel rovinoso emendamento, dice così al padre di suo figlio: “Io per te valgo meno di zero… le cose che ho fatto per te non vanno mai bene, non sono sufficienti”… e ancora: “Per te valgo meno di zero come tutte”. Ma sopra tutto: “Non fai altro che chiedermi favori, con me ti comporti come un sultano… oh mi sono rotta… a quarantasei anni… tu siccome stai con me e hai un figlio con me, mi tratti come una sguattera del Guatemala”. Lui, Gianluca Gemelli, è il sultano con ex moglie ricca e due figli di primo letto (“stai più con loro che con nostro figlio”). Lei, Federica, è la “sguattera del Guatemala” cresciuta in grisaglia per dovere di lignaggio – è figlia di Guidalberto, patron di Ducati – e caduta nella rete del servaggio volontario.
Tutto può ancora succedere, naturalmente, quando si tratta di conversazioni rubate e d’inchieste giudiziarie. Nulla di certo si può già fissare nel futuro anteriore di uno scandaluccio triste e fatale come questo. A parte, dicevo, l’assoluzione di Eros cui va decisamente incontro la signora Guidi. Perché non è una quattrinara scivolata nella tentazione dell’arricchimento facile e veloce, essendo ricca di suo, educata a quella degnazione fredda verso il denaro che proviene da una costumatezza ereditaria. Perché non ha ceduto al miraggio del mattone sul quale si sono infrante la carriera e la rispettabilità di tali e tanti politici o affaristucoli italiani di prima e seconda generazione: non risulta che Federica Guidi abiti o possegga case a sua insaputa. Il suo precipizio non si chiama tornaconto personale – au contraire! – e alla fine del suo pozzo nero non s’intravvede alcun beneficio di carriera da irrigare con le acque reflue di un ministero.
No, Federica Guidi ha dato qualcosa di grande a un tipo che a quanto pare non se lo meritava: il corpo e l’animo di una donna innamorata, prima ancora di un eventuale corpo del reato. Ha pagato con le dimissioni, paga con il ludibrio pubblico, e pagherà con chissà quale altra moneta espiatoria il pegno dell’illusione affettiva. In una donna, in ogni donna, questo è tremendamente bello anche se triste e frainteso. In lei fece difetto la cautela, mancò la fortuna e sopraggiunse la dissipazione. Ma vuoi mettere la superiorità di un sentimento rispetto all’omuncolo che si nasconde in ogni maschio dedito al parassitismo? A parti invertite, fosse stata lei la beneficata dall’emendamento erratico di un marito potente fra i potenti renziani, i più adesso la biasimerebbero trattenuti in pubblico ma dandole di troia e dandosi di gomito nei conversari privati. Perché va così, nell’Italia degli eunuchi che si credono itifallici: l’ometto saprofita resta pur sempre un merlo maschio mentre la femmina è gazza ladra in ogni caso, dunque bottana socialdemocratica confindustriale. E invece era solo amore, annebbiamento imprudente.
Da Euripide ad Alberto Sordi
Volete un’altra prova? Eccola. All’indomani della detonazione, quando le dimissioni erano state già proclamate e consegnate al primo ministro, Federica Guidi ha scritto al Corriere della Sera ammettendo che il Gemelli è a tutti gli effetti suo marito. Con il che si è impiccata da sola al piccolo cappio della legge Frattini sul conflitto d’interessi – “la sussistenza del conflitto d’interessi si ha di fronte a un’incidenza, derivante da un atto od omissione del soggetto, sul proprio patrimonio, su quello del coniuge, o su quello dei parenti entro il secondo grado, con danno per l’interesse pubblico” –, un provvedimento in fondo lasco, perciò sottoposto a revisione in questa legislatura. E ora in tanti ridacchiano additando la Guidi mentre lei si sta rimangiando sia la lettera al Corriere sia i contratti di consulenza con chi, nella sua cerchia, non ha saputo ben consigliarla, proteggerla, sviarla dal sentiero di una sincerità disgraziata.
Drôle d’amour. Un amore che qui non può certo essere dignificato dal richiamo alla memoria di Alcesti, colei che s’immola al posto dell’amato Admeto (“Il tempo ti consolerà…”), privo com’è del candore epico e di personaggi all’altezza della tragedia. Il semiconiuge Gemelli, più che al sovrano Admeto, fa pensare ad Alberto Nardi, “Il vedovo” dal volto di Alberto Sordi (1959). Ma nel film di Dino Risi l’imprenditore pasticcione s’inabissa nella trappola tesa alla sua Elvira (Franca Valeri). Invece il dramma di Federica Guidi, se possibile, dimostra la superiorità femminile sul simulacro del maschio anche in fatto di possessione autodistruttiva.
"Il vedovo" interpretato da Alberto Sordi