Stop intercettazioni, adesso

Serve una legge vera per combattere una grande restrizione della libertà personale

Deborah Bergamini
Girotondo trasversale (Pd, Forza Italia, Ncd, Lega, Sinistra) contro lo sputtanamento spacciato per libertà di stampa. Al Senato giace da mesi una legge già licenziata alla Camera. E’ ora di approvarla, o no?

Eccolo di nuovo. Come accade periodicamente è tornato alla ribalta il tema, anzi lo scandalo, delle intercettazioni. Un tema tutto italiano: le intercettazioni telefoniche sono un metodo di indagine che esiste in tutto il mondo, ma che solo in Italia è abusato in questo modo. Nei paesi civili le intercettazioni sono uno strumento di indagine limitato, giustificato da esigenze particolari, sottoposto a vincoli e a controlli rigorosi. Neppure negli Stati Uniti, un paese dove il privato degli uomini politici è passato al microscopio, si consente di usare le intercettazioni per utilizzi che non siano strettamente inerenti ad un’inchiesta. Solo in Italia le intercettazioni sono una “pesca a strascico” che fruga nella vita privata di donne e uomini che hanno una funzione pubblica, e che ne trasferisce sistematicamente ai media gli aspetti più intimi, e appunto per questo spesso grotteschi per un osservatore esterno, quindi utili al dileggio, al voyeurismo, alla devastazione della vita privata e pubblica, non certo all’acquisizione delle prove di un reato.

 

Ricordate il film “Le vite degli altri”? Un capolavoro inquietante, che mostra la presenza quotidiana, subdola, inafferrabile della Stasi, la polizia politica della Germania est, nelle case di ogni cittadino attraverso il telefono. Ma questo avveniva in una delle peggiori dittature comuniste, non in una libera democrazia dell’occidente. In effetti le intercettazioni violano un principio fondamentale in un paese libero, quello del diritto alla riservatezza della vita privata. Come tutte le restrizioni della libertà personale, esse dovrebbero costituire pertanto un’assoluta eccezione, giustificata da esigenze particolarissime. E proprio per questo non dovrebbero finire in pasto ai giornali.

 

La loro divulgazione incontrollata è una mostruosità. E’ fin troppo facile ricordare che c’è un modo semplicissimo perché le intercettazioni inutili non escano: non farle. Oppure, una volta fatte, distruggerle. Tutte scelte che dipendono dal nostro sistema di giustizia. In realtà, divulgare conversazioni private che si prestano al pettegolezzo determina sempre due risultati: aumenta la visibilità di un’inchiesta e fa vendere più copie ai giornali. Al tempo stesso, ridicolizza la vittima esponendola ad una condanna grossolana e preventiva. Poche cose, per un uomo pubblico, sono più letali della gogna mediatica. E poche cose sono più incivili, a maggior ragione quando coinvolgono congiunti o terze persone del tutto estranee alle questioni. Che fare di fronte a tutto questo? Ammettere che si tocca, con questa prassi, un nervo scoperto del malfunzionamento del nostro paese, che minaccia i grandi principi fondanti dello stato di diritto.

 

Noi per la verità lo diciamo da tempo, ora sembra che la sinistra si stia rendendo conto che le stesse scorciatoie mediatico-giudiziarie che avevano usato tante volte contro di noi, possono ritorcersi contro di loro. E quindi Renzi è pronto a rivendicare l’autonomia della politica e la sovranità delle istituzioni. Se per una volta non fossero solo parole, noi saremmo qui, pronti davvero ad aiutarlo. Non nel suo o nel nostro interesse, ma nell’interesse dello stato di diritto. Una legge sulle intercettazioni non certo punitiva verso la magistratura, ma rispettosa della vita privata dei cittadini, in Parlamento potrebbe raccogliere un consenso trasversale molto vasto e sarebbe un grande atto di civiltà. Sarebbe molto bello che almeno sui diritti di libertà ci ritrovassimo uniti al di là dei ruoli parlamentari diversi.

 

Noi ci siamo, purtroppo Renzi si è affrettato ieri l’altro a chiarire che sulle intercettazioni non intende fare nulla. Ma questa prassi, invece, è molto grave, sia che ne sia vittima il presidente del Consiglio, un ministro, un sindaco o un semplice cittadino. Vorremmo che “Le vite degli altri” fosse soltanto un capolavoro del cinema che ci riporta a un passato sepolto definitivamente alle nostre spalle. Purtroppo non è così, e dunque non rinunceremo a una battaglia parlamentare di civiltà, anche da soli, per la libertà dei cittadini e la dignità delle istituzioni.

 

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Deborah Bergamini è deputato di Forza Italia