Perché la pace del Cav. con la sinistra di Renzi è più forte di qualche urlo
Milano. Tra Mr Bee Taechaubol e Vincent Bolloré la differenza salta agli occhi. Mr Bee è una delle meteore che non lasciano traccia sulla strada del Cavaliere, come i delfini politici e gli allenatori. Il finanziere bretone è un quasi amico di lunga data, garantito da altri amici come Tarak Ben Ammar. Attorno alle cose che contano, quando contano le cose importanti, ci sono sempre loro. E ora che Silvio Berlusconi, più attivo che mai, sta mettendo in sicurezza le cose sue – le aziende, la mobilia – le meteore e i delfini spariscono. Mr Bee potrebbe essere sostituito, raccontava ieri il Corriere, da una nuova cordata cinese, con advisor americano, pronta a comprare il Milan a quota 700 milioni. Vendere il calcio è l’ultima cosa che il presidentissimo vorrebbe mai fare, ma mettere in sicurezza la baracca rossonera senza farla pesare sull’azienda e sui figli è quel che il dovere impone. Divergenti sono le analisi se l’accordo di scambio azionario – in realtà la cessione del ramo pay tv – tra Mediaset e Vivendi (“l’offerta migliore ricevuta”) sia un mettersi in sicurezza o uno morbido scivolo d’uscita.
La “big Mondadori” – per gli astiosi Mondazzoli – è l’unica operazione di questi mesi che non appaia in calando, e anzi si presenti come una vera acquisizione. Per quanto comporti il probabile addio a una quota dei periodici e la rinuncia, in parte strategica e in parte forzata dall’Antitrust, ad alcuni marchi editoriali pregiati di Rizzoli. Si può anche discutere, e lo si è fatto da più parti, se Berlusconi stia semplicemente preparando un lungimirante disimpegno della famiglia dal capitalismo italiano, mantenendo per il futuro solo pochi asset aziendali e alcuni patrimoni, come hanno fatto gli Agnelli. Ma comunque la si guardi, il Berlusconi tornato imprenditore iperattivo e decisionista di questi ultimi mesi sta facendo quello che finora – nel ventennio successivo alla discesa in campo – non era mai riuscito a fare: mettere in sicurezza “la roba”. Che è poi, paradossalmente, quello che gli avevano sempre accusato di voler fare attraverso la politica: garantire i propri interessi. Una partita di scacchi e di colpi bassi più che decennale, iniziata in realtà molto prima, ai tempi della Prima Repubblica con il lodo Mondadori, quando lo scontro editoriale-finanziario copriva il nocciolo duro dell’ostilità all’imprenditore amico di Craxi. Poi ci furono la telenovela del “conflitto d’interessi”, la visita di Massimo D’Alema candidato premier a Cologno Monzese – era il 4 aprile del 1996 – che indignò la sinistra per la celebre dichiarazione: “Mediaset è una risorsa per il paese”. Ci furono sgambetti di fatto e alleanze nei fatti, come quando nel 1999 Berlusconi pareva intenzionato a vendere a Rupert Murdoch e il Pds si mostrava assai attento alla preziosa italianità di Mediaset.
Volendo capovolgere il luogo comune si dovrebbe dire che, come in un conflitto di interessi all’incontrario, è la politica che ha sempre impedito a Berlusconi di mettere al sicuro la roba sua. Doveva tenere botta in Parlamento e tralasciare la ditta. Oggi fare il premier non lo interessa più e Forza Italia è ridotta allo stato gassoso, le mani sono più libere. Forse perché c’è un quadro politico da cui si sente più garantito: Matteo Renzi è uno che quantomeno, per cultura personale, non ha la mania dell’esproprio proletario. Così il Cav. ha maggiore agio a occuparsi dell’assetto futuro delle sue aziende: se fosse ancora il possibile prossimo vincitore delle elezioni, è chiaro che l’operazione Vivendi non avrebbe potuto nascere sotto gli occhi benevoli, o distratti, di un governo di sinistra. Si dirà, quindi, che esiste davvero un Nazareno delle piccole cose, o delle grandi transazioni d’affari. E invece, ancora una volta paradossalmente, il Berlusconi politico va all’attacco: “Ci batteremo al referendum per difendere la Repubblica italiana dalla voglia di potere di un premier mai eletto”, ha detto ieri. E spara critiche roboanti contro “un premier supportato da una maggioranza incostituzionale e con l’apporto decisivo al Senato di sessanta transfughi del centrodestra”.
L'ad di Mediaset Pier Silvio Berlusconi (foto LaPresse)
La realtà è che oggi il Berlusconi politico ha una doppia opzione “lose-lose”, ma non proprio scomoda: accettare un Nazareno di fatto in posizione subalterna, o giocare all’opposizione massimalista. Tanto il risultato non cambia, ognuna lascia al Berlusconi imprenditore la possibilità di badare alla messa in sicurezza delle aziende. Del resto la fase congiunturale può essere definita, con un po’ di eufemismo, di nuova internazionalizzazione, e lascia poche scelte sulla necessità economica delle grandi fusioni – Mondadori-Rcs, Repubblica-Stampa, Mediaset-Vivendi – o sui grandi traslochi industriali alla Marchionne. Le mosse di Berlusconi non sono espansive, sono tutt’al più di consolidamento. Le sue televisioni non sono più all’attacco sui mercati né la sua informazione è minacciosa, c’è un sostanziale appeasement che qualche urlo antirenziano non scalfisce. Renzi lo sa, e Berlusconi sa di non avere la necessità di garantirsi con la politica, e di poter badare – finalmente – alle cose sue.