Il filosofo Jean-Jacques Rousseau

Rousseau non amava davvero la democrazia, infatti è amato dai grillini

Antonio Gurrado
Il sistema operativo del m5s si chiama come il filosofo, ma forse sarebbe stato meglio un altro nome: per Rousseau il popolo resta composto da "sudditi", non comanda mai e non è possibile conseguire una totale eguaglianza in politica, ragion per cui “una vera democrazia non è mai esistita né esisterà mai”.

Povero Jean-Jacques, ha già abbastanza colpe per gravargli addosso anche la responsabilità del fatto che si chiami Rousseau il sistema operativo del Movimento Cinque Stelle, messo in moto un’ora dopo la morte di Casaleggio. Gli uccelli del malaugurio noteranno che gli storici concordano nell’ascrivere all’insegnamento di Rousseau la fase cupa e sanguinolenta della Rivoluzione francese, posteriore a una prima fase gioiosa e voltairiana. Plausibilmente i grillini non arriveranno alla ghigliottina; conta però capire perché sarebbe convenuto trovare un nome diverso alla piattaforma politica online.

 


 

"Rousseau", il sistema operativo del Movimento 5 stelle


 

L’idea di partenza è giusta: Rousseau è un fautore della democrazia diretta nel senso che trova iniqua la rappresentanza parlamentare, sotto cui il popolo è libero il giorno delle elezioni mentre, dal giorno dopo, “è schiavo, è niente”. Lo attrae il modello di Sparta i cui cittadini “hanno le ali ai piedi” quando si tratta di andare in assemblea; ideale tanto grillino quanto il corollario pauperista che a Sparta ignoranza e povertà abbiano fondato leggi sagge mentre la legislazione di Atene, troppo ricca e raffinata, era frutto del vizio. Il problema è che Rousseau non intende ripristinare il modello spartano. Consapevole dell’impossibilità di sradicare il lusso dall’Europa del tempo, e sicuro che l’eguaglianza presente in stato di natura non sia replicabile nella società civile, adduce come esempio Ginevra: una repubblica retta da una salda oligarchia patrizia.

 

Parrebbe che chi ha intitolato a Rousseau il sistema operativo abbia scorso superficialmente poche pagine. Quali? Anzitutto, l’articolo “Economia politica” dell’Encyclopédie, in cui si lancia nella spericolata equazione fra patria, libertà e virtù basandosi sulla distinzione fra governo legittimo (in cui gli interessi del popolo e dei magistrati coincidono) e tirannico (dove gli interessi sono opposti). Quindi, la parte del “Contratto sociale” fondata sul concetto di “alienazione totale di ciascun associato, con tutti i suoi diritti, a tutta la comunità” nonché sulla “volontà generale”, che però non è unanimità né scelta a maggioranza; è un vettore, un’indicazione di principio su cui valutare ogni successivo atto legislativo. Di sicuro infine, la professione di una religione civile “della quale il sovrano deve fissare gli articoli come sentimenti di socialità, senza i quali è impossibile essere buon cittadino né suddito fedele”, per quanto non menzioni la distribuzione di grilli essiccati a mo’ di ostia.

 

Qui finisce il Rousseau a cinque stelle e iniziano i guai. Nel “Contratto sociale” il governo è un mero corpo intermedio; il M5s concorda sull’idea che esso debba limitarsi a ratificare leggi che siano espressione concreta della volontà generale inalienabile e indivisibile, però non considera che il popolo è solo uno dei termini di mediazione. L’altro è il “sovrano”, che non è un monarca ma un “corpo politico” che Rousseau a volte chiama “repubblica” e altre “Stato” ma che tiene sempre ben distinto dal popolo, che resta composto da “sudditi” e non comanda mai. Rousseau non ama la democrazia. Vi ravvisa una confusione fra potere legislativo ed esecutivo; ha ben chiaro il rischio che il popolo, chiamato a esprimere un parere, si distragga dalla visione generale in favore di casi specifici, tendendo a favorire l’interesse particolare. Ammette l’impossibilità che il popolo venga chiamato ad adunanze permanenti ininterrotte; e, per quanto internet possa oggi illudere che si sia ovviato al problema, resta il fatto che per Rousseau non è possibile conseguire una totale eguaglianza in politica, ragion per cui “una vera democrazia non è mai esistita né esisterà mai”. E’ strano che il sistema operativo a cinque stelle si chiami come l’uomo per il quale la democrazia diretta è “un governo tanto perfetto da non convenire agli uomini”.

 

Rousseau non si fida del popolo. Lo descrive come una “moltitudine cieca” che “vuole sempre il bene ma non sempre lo vede”, e decide di affidarlo al “legislatore”: figura misteriosa, inquietante, su cui tuttora si dibatte e che non suonerà estranea a chi conosce il Movimento. Sembra infatti una specie di profeta che si spaccia per mero estensore di regole: è un “uomo eccezionale” che non ha ruoli istituzionali ma “prende l’iniziativa di fondare una nazione”; costruisce la repubblica ma non rientra nella sua costituzione; si limita a essere “l’inventore della macchina”. Un po’ sciamano un po’ badante del popolo, è il jolly calato da un Rousseau che prediligeva l’aristocrazia elettiva, al punto da ripescare i comizi romani come sistema per garantire il funzionamento dello Stato. Dalla Roma repubblicana trae il voto per censo: un complesso di artifici volto a che la classe più elevata (patrizi e tribuni), per quanto numericamente inferiore alla plebe, costituisca il vero centro decisionale nelle assemblee; un machiavello in cui ciascuno finge di valere uno ma molti non valgono nulla. Non credo che il sistema operativo si chiami Rousseau per questo.

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