Suona arcaica e autoritaria la nuova caccia per far pagare il canone Rai
Riecco la tassazione indiziaria pre-moderna: una grottesca mini-patrimoniale, un'imposta sul possesso di apparecchi radiotelevisivi, riedizione dei vecchi tributi indiziari sui segni esteriori.
Nella pre-moderna tassazione indiziaria sui segni esteriori della ricchezza, non solo fondiaria, non era richiesta la collaborazione dei contribuenti. Le imposte potevano essere assestate su ciò che era percepibile da un osservatore esterno, fossero il numero di porte e finestre delle case, le carrozze possedute o i terreni di proprietà. Con l’avvento dell’imposta sulla ricchezza mobiliare questo paradigma mutò radicalmente: per applicare il tributo divenne indispensabile una “dichiarazione”, proveniente dai privati, dei redditi posseduti.
Rispetto a questo schema evolutivo, il canone Rai rappresenta un’inversione di tendenza. Siamo infatti al cospetto di una grottesca mini-patrimoniale, di un’imposta sul possesso di apparecchi radiotelevisivi, riedizione dei vecchi tributi indiziari sui segni esteriori. Qui però iniziano i problemi, posto che una tv non è rilevabile, tendenzialmente, se non con un accesso domiciliare, possibile soltanto con l’autorizzazione del magistrato in caso di gravi indizi di violazioni delle leggi tributarie. Per sopperire dunque a tale difficoltà conoscitiva, la recente riforma del canone, con un escamotage, ha invertito i termini del problema, istituendo una discutibile presunzione di possesso collegata alla presenza di un’utenza elettrica, superabile dal contribuente soltanto con le forme della dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà, che dovrà avere a oggetto la mancata detenzione di apparecchi tv, il cui mendacio è punibile penalmente. L’irrazionalità della disciplina appare tuttavia evidente, e la sua tenuta ordinamentale tutta da verificare.
Anzitutto, appare una forzatura aver calato nel contesto di una dichiarazione giurata, concepita per status e qualità personali (come l’essere cittadini italiani, risiedere in un certo luogo, essere coniugati, eccetera), quella che, nonostante le apparenze, è una vera e propria dichiarazione fiscale. Dichiarare la mancata detenzione di una tv, nel contesto in esame, non è in fondo diverso dall’occultare un reddito o non manifestare la proprietà di un immobile ai fini Imu, che implicitamente si dichiara di non possedere. Con il “nuovo” canone Rai si torna a un modello arcaico, alla dichiarazione fiscale come “giuramento”, emblema dell’incapacità dell’amministrazione di accertarne la veridicità se non ricorrendo alla forza vincolante del sacramento e alla maledizione per gli spergiuri (fuor di metafora, la minaccia del carcere). Si tratta di un precedente inquietante, che vi potrebbe essere la tentazione di seguire in altri contesti, ad esempio presumendo per gli autonomi un ammontare di ricavi pari agli studi di settore, salva dichiarazione giurata di non averli conseguiti.
In secondo luogo, istituire una sanzione penale nella fattispecie in esame appare contrario al principio di proporzionalità, posto che nel nostro ordinamento le dichiarazioni fiscali in cui vengono occultati ricavi, corrispettivi Iva, o esposti costi inesistenti non sono punibili penalmente, fino a importi molto più elevati del canone Rai.
Infine, al “massimo” della pena corrisponde il “minimo” di effettività nell’applicazione: come conferma il modulo per l’esenzione recentemente approvato, la dichiarazione di non detenzione non può che riferirsi al momento in cui viene rilasciata. Ma il possesso di un bene mobile è acquisibile o trasferibile senza alcuna formalità: il dichiarante potrebbe spogliarsi della tv prima di effettuare la dichiarazione, e riacquisirne la detenzione subito dopo, effettuando così una dichiarazione tecnicamente veritiera. Se per sfuggire alla presunzione vi è l’obbligo di dichiarare di non detenere a una certa data, nulla invece impone di dichiarare di aver acquisito una tv successivamente; e comunque, anche se un tale obbligo dichiarativo esistesse, il non adempiervi non sarebbe sanzionabile penalmente. La possibilità di verificare la genuinità delle dichiarazioni di non detenzione appare quindi vicina allo zero: non solo perché occorrerebbe ipotizzare accessi a tappeto nelle abitazioni private degli italiani, previa autorizzazione della magistratura inquirente, ma altresì in quanto la presenza di un apparecchio tv al momento dell’accesso domiciliare non dimostrerebbe affatto il mendacio della dichiarazione, riferibile al solo momento in cui viene effettuata.