Non si può spacciare lo sputtanamento per libertà di stampa
Al direttore - E’ da un pezzo che l’Italia ha bisogno di una seria riforma che impedisca una volta per tutte di trascrivere negli atti giudiziari telefonate penalmente irrilevanti che riguardano persone che non c’entrano nulla con l’indagine e spacciare la libertà di sputtanamento per libertà di stampa. Non per caso, un anno fa, prima che l’argomento tornasse alla ribalta, ho ripresentato, con i dovuti accorgimenti, il ddl sulle intercettazioni approvato dalla Camera dei deputati il 17 aprile 2007 e che non vide l’approvazione definitiva a causa dell’interruzione anticipata della legislatura. Il problema, affrontato dal testo, è presto detto: sia le esigenze investigative che quelle di pubblica informazione in occasione di vicende giudiziarie di pubblico interesse, devono trovare il giusto bilanciamento con il diritto dei cittadini a vedere tutelata la loro riservatezza, soprattutto se estranei al procedimento. Il diritto al rispetto della vita privata e familiare e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee costituiscono infatti valori tutelati, oltre che dalla Carta costituzionale (articoli 13 e 15), anche dagli articoli 8 e 10 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. Eppure, ogni volta il discorso finisce per concentrarsi, in modo fuorviante, unicamente sulla “limitazione dei mezzi in capo ai magistrati per scovare reati”.
Lo strumento della captazione di conversazioni e comunicazioni, anche telematiche, costituisce uno dei cardini dell’attività investigativa, si sa. Ma non deve diventare un mezzo per diffondere notizie che, come quelle lette in questi giorni, con il reato non hanno nulla a che vedere e consacrare la disparità morale tra accusati e accusatori. Insomma, bisogna creare un vero filtro per evitare che la condanna mediatica preceda quella (eventuale) giudiziaria; scremare le conversazioni ritenute irrilevanti, custodendo le stesse in archivi riservati e coperti da segreto istruttorio; e prevedere autonome fattispecie criminose per l’illecita divulgazione di notizie.
Aggiungo che l’intercettazione è una tipetta parecchio sopravvalutata. Se può “trasformare la melma in oro”, è proprio perché, come sostiene Steven Pinker, docente di psicologia alla Harvard University, “la conversazione reale è molto lontana da il cane ama il gelato” e “ci vuol molto di più dell’analisi per capire un enunciato”. Qualcuno ricorderà il colloquio che ebbe luogo il 17 marzo 1973 tra il presidente Richard Nixon, il suo consigliere John W. Dean e il suo capo di gabinetto H. R. Haldeman. Howard Hunt, che lavorava alla campagna di rielezione di Nixon nel giugno del 1972, aveva guidato un’irruzione nel quartier generale del Partito democratico nell’hotel Watergate, in cui i suoi uomini avevano messo sotto controllo i telefoni del capo del partito e di altri impiegati; ed erano in corso indagini per chiarire se l’operazione era stata ordinata dalla Casa Bianca, da Haldeman o dal procuratore generale John Mitchell. I tre stavano discutendo se pagare 120 mila dollari come prezzo del silenzio a Hunt prima che testimoniasse in tribunale. Il dialogo è disponibile perché Nixon, sostenendo di agire per il bene dei futuri storici, aveva fatto installare un microfono spia nel proprio ufficio e aveva cominciato a registrare segretamente tutte le conversazioni che vi si svolgevano. Nel febbraio 1974 la Commissione giudiziaria della Camera dei rappresentanti chiese formalmente che i nastri fossero ascoltati per contribuire alla decisione sull’impeachment di Nixon. In gran parte sulla base di questo colloquio il comitato chiese l’impeachment, e nell’agosto 1974 Nixon diede le dimissioni.
I nastri del Watergate sono le più famose e più lunghe trascrizioni mai pubblicate di una conversazione realmente avvenuta. Quando furono pubblicate, gli americani ne furono scioccati, anche se non tutti per la stessa ragione. Un piccolo numero di persone “si stupì – scrive Pinker – che Nixon avesse preso parte a una cospirazione per ostacolare la giustizia. A qualche altro parve strano che il leader del mondo libero si esprimesse come uno scaricatore di porto. Ma a rappresentare una sorpresa per tutti fu come appare una conversazione quando viene riportata parola per parola. La conversazione fuori dal contesto è praticamente incomprensibile. Parte del problema deriva dal fatto stesso che la voce viene trascritta: vanno perse l’intonazione e il ritmo che delineano i sintagmi; inoltre la qualità tecnica dei nastri che non siano di altissima fedeltà è inaffidabile (…) Ma anche quando viene trascritta perfettamente, la conversazione è difficile da interpretare. Le persone parlano per lo più a frammenti, interrompendosi a metà degli enunciati per riformulare il pensiero o cambiare il soggetto. Spesso non è chiaro di chi o di che cosa si stia parlando, perché i conversatori usano pronomi (‘lui’, ‘loro’, ‘questo’, ‘quello’, ‘noi’, ‘loro’, ‘esso’, ‘uno’), parole generiche (‘fatto’, ‘successo’, ‘la cosa’, ‘la situazione’, ‘quel punto’, ‘queste persone’, ‘qualsiasi’) ed ellissi (‘il volere della Procura degli Stati Uniti’, e ‘Ecco perché’). Le intenzioni sono espresse indirettamente. In questo episodio, che un uomo finisse l’anno come presidente degli Stati Uniti o come criminale giudicato colpevole dipendeva letteralmente dal fatto che ‘Di cosa avete bisogno?’ fosse inteso come una richiesta di informazioni piuttosto che un’offerta implicita di dare qualcosa”.
L’inintelligibilità della conversazione trascritta è un ingrediente della formula che permette all’intercettazione di trasformare la melma in oro. Ma senza prove concrete, indizi circostanziati e pistole fumanti, la melma resta melma. Motivo in più per riprendere in mano il progetto di riforma.
Alessandro Maran è vicepresidente dei senatori del Pd