Il “partito del No” si ingrossa di sconfitta in sconfitta e già guarda alla prossima battaglia
Naturalmente non è stato un “successo strepitoso”, come sostiene invece il governatore pugliese Michele Emiliano, eppure la batosta del referendum No Triv non fermerà la variegata compagine del “No a tutto” dall’impegnarsi nell’ennesima battaglia contro la prossima legge che, come al solito, metterà a rischio ambiente, salute, lavoro, democrazia. Il presidente della Puglia ha già detto che “questo è solo l’inizio” e che da oggi “Renzi sa con chi deve fare i conti”. L’armata Brancaleone referendaria – che riunisce Movimento 5 stelle, Lega, Sel, Fratelli d’Italia, parte di Forza Italia, sinistra extraparlamentare, quella parlamentare extra Pd e la minoranza dem, Verdi, Forza nuova, Casa Pound, il gruppo di professori e intellettuali di Libertà e Giustizia (Zagrebelsky&Rodotà), giornali come il Fatto, il movimento benecomunista, attori, cantanti, magistrati e preti militanti – continua a marciare compatta e cambia solo insegna, da No Triv a “No alla riforma costituzionale” (sarà un referendum senza quorum e perlomeno il dibattito sul dovere di votare sarà risparmiato). La botta delle trivelle è stata dura, ma il fronte ne esce rinvigorito all’apparenza e certamente più battagliero, perché con l’armata referendaria funziona secondo il detto per cui “quello che non ammazza, ingrassa”.
Il nocciolino duro dell’opposizione alle riforme è nato in piena epoca nazarenica, attorno al flop del tentato referendum “No austerity” del 2014, quando la sinistra dissidente di Cuperlo, Fassina, Civati e Gotor, insieme alla Cgil e a Stefano Rodotà, mancò l’obiettivo delle 500 mila firme per convocare un referendum contro il pareggio di bilancio. Si è poi allargato, sempre sul campo della lotta all’austerità, con il referendum “No Fornero” contro la riforma delle pensioni lanciato da Matteo Salvini, che aveva ricevuto l’appoggio della Cgil di Susanna Camusso e raccolto migliaia di firme, ma è stato dichiarato inammissibile dalla Corte costituzionale. Un troncone proviene da un altro referendum abortito, quello “No Euro” del M5s, che aveva annunciato la raccolta di tre milioni di firme per portare l’Italia fuori dalla moneta unica. Di firme ne sono arrivate 200 mila e l’uscita dall’euro sembra archiviata.
Sullo sfondo era già attivo, da tempo immemore, il movimento a difesa della Costituzione con gli appelli contro la “deriva autoritaria” e “la riforma della P2” (poi arrivata con il patto del Nazareno e il governo Renzi). Di sconfitta in sconfitta l’armata si è ingrossata, unendo le debolezze confluite tutte nel referendum No Triv, dove sono stati inglobati pezzi della sinistra Pd, pezzi di centrodestra, ex renziani come Emiliano, vescovi, attori e artisti da “Notte dell’onestà”. Non poteva mancare Marco Travaglio, che da un lato schiera il suo giornale con i No Triv perché hanno costretto il governo a “restituire i poteri agli enti regionali”, e dall’altro è già proiettato sul referendum contro la riforma Boschi che manderà in Senato i consiglieri regionali, che sono “la peggior classe dirigente del paese” (salvo diventare eroi quando si tratta di fermare le trivelle). Come si è intuito, il referendum costituzionale sarà il prossimo campo di battaglia, su cui giungeranno anche le truppe di Magistratura Democratica, già schierate lancia in resta contro la riforma, e la cavalleria dei difensiori della “Costituzione più bella del mondo” in servizio permanente effettivo. E se anche quest’altra spallata dovesse andare male, niente paura. Sono pronti altri cinque referendum: uno contro l’Italicum e altri quattro “referendum sociali” per i beni comuni, contro la Buona scuola, contro gli inceneritori e di nuovo contro le trivelle. Quello che non ammazza, ingrassa.