AD 2016: Berlusconi ha vinto
Guardi la politica, guardi i candidati, guardi i profili. Guardi i giornali, guardi gli editori, guardi i direttori, guardi le nomine. Guardi le partecipate, guardi i presidenti, guardi i consiglieri, guardi le commissioni. Guardi i cda, guardi i manager, guardi i nomi. Guardi i temi, guardi le battaglie, guardi la divisione del campo. E infine guardi gli avversari, guardi i Gustavo Zagrebelsky consegnati al confino quotidiano, guardi la repubblica delle procure che fatica ad avere consenso, guardi i Curzio Maltese ai giardinetti con le Barbara Spinelli, guardi i sindacati che si leccano le ferite, guardi i Sala, guardi i Parisi, guardi i Giachetti, guardi i Bertolaso, guardi Renzi, guardi soprattutto i suoi nemici, e capisci che, nonostante stia chiaramente perdendo, Berlusconi, Anno Domini 2016, ha comunque vinto e sta vincendo alla grande. C’entrano i suoi temi, ovvio, ma c’entrano soprattutto i suoi geni, oggi, ed è difficile trovare ambiti della vita politica, economica e culturale in cui il berlusconismo, declinato nelle sue mille forme, non stia in un certo senso trionfando.
Culturalmente, dopo due anni di governo Renzi, il risultato è incredibile ed è sotto gli occhi di tutti: Renzi e Berlusconi hanno storie e percorsi diversi, ovvio, ma molte battaglie di Berlusconi oggi sono diventate patrimonio condiviso non soltanto del pensiero renziano ma anche di un pezzo importante del mondo della sinistra. La volontà di riequilibrare il rapporto squilibrato tra politica e magistratura è solo l’ultimo tassello di un mosaico più grande che parte dalla marginalizzazione dei sindacati (no concertazione), arriva fino alla tassa sulla casa (no Imu) e tocca infiniti ambiti della vita pubblica del nostro paese: il rapporto con l’Europa, la fine dell’articolo 18, la contrattazione aziendale, la lotta contro il bicameralismo perfetto, le botte ai parrucconi, la riscrittura della Costituzione, la fine dei patti di sindacato, la marginalizzazione di Mediobanca, l’affermazione del primato della politica, la vocazione maggioritaria, l’ostilità rivolta ai piccoli partiti, l’insofferenza per le coalizioni, il modello americano e la guerra contro i maledettissimi comunisti che come si sa, a molti anni di distanza, continuano imperterriti a mangiare molti bambini.
Politicamente, la contaminazione berlusconiana del renzismo, come capitò, con le dovute proporzioni, nel 1998 a Tony Blair con la sua predecessora Margaret Thatcher, è un dato di fatto incontestabile e non è certo un caso che il presidente del Consiglio, furbacchione, non inserisca mai il nome del Cavaliere tra i Salvini, i Landini, gli Emiliano, i Davigo, i Brunetta e i vari nemici giurati del renzismo. Il Cav., pur trovandosi in una condizione politica non facile, ma chissà come finirà a Milano, ha vinto per questo. Ha vinto perché ha trovato un politico distante anni luce che sta portando avanti idee complementari a quelle messe in piedi da lui nel 1994. Ha vinto perché gli anti berlusconiani – guardatevi in giro – sono caduti in disgrazia. Ha vinto perché la grammatica dell’anti berlusconismo fa così poca presa sul paese che osservando le candidature del centrosinistra nelle grandi città si trovano tosti anti anti berlusconiani come Roberto Giachetti, a Roma, e come Beppe Sala, a Milano (il quale Sala, tempo fa, fu considerato dallo stesso Berlusconi “un uomo del centrodestra”). Ha vinto per questo Berlusconi, ma ha vinto anche perché il gene del berlusconismo lo si riesce a vedere in mondi lontani dal vecchio universo berlusconiano.
Nell’Anno Domini 2016, Marina Berlusconi, numero uno di Mondadori, ha comprato i libri della Rizzoli. Nell’Anno Domini 2016, Urbano Cairo, editore, proprietario de La7, con un passato da assistente di Silvio Berlusconi in Fininvest, da direttore commerciale e da vicedirettore generale presso Publitalia e da amministratore delegato di Arnoldo Mondadori Editore pubblicità, è a un passo dal comprare il Corriere della Sera. Nell’Anno Domini 2016, il numero uno delle Poste, scelto da Renzi, si chiama Luisa Todini, imprenditrice, ex europarlamentare di Forza Italia. Nell’Anno Domini 2016, il Fatto scopre che nel 2015 dei 3 milioni spesi per la pubblicità istituzionale da parte di Palazzo Chigi e dei vari ministeri 1,25 sono andati a Mediaset, il resto alle altre tv private. Nell’Anno Domini 2016, il numero uno della Rai, Antonio Campo Dall’Orto, che tra le molte cose fatte in passato è stato anche vicedirettore di Canale 5, ha scelto come direttore della seconda rete Rai, RaiDue, Ilaria Dallatana, ex responsabile dell’ufficio marketing di Mediaset, con un passato di riorganizzatrice di Telecinco (Mediaset), fondatrice della società di produzione Magnolia insieme con Giorgio Gori (oggi sindaco del Pd di Bergamo); e Francesca Canetta, ex Mediaset, che da Magnolia è arrivata anche lei a RaiDue, proprio come vicedirettore di Dellatana (non ricorderemo certo noi, poi, che, spesso, anche i nemici di Renzi e di Berlusconi sono cresciuti nel mondo berlusconiano: succede in Rai, con Carlo Freccero, consigliere d’amministrazione, una vita in Mediaset; e succede a Roma, in politica, con la dottoressa Virginia Raggi, candidata del Movimento 5 stelle, cresciuta nello studio Previti – molte risate).
L’elenco potrebbe essere ancora molto lungo – e potrebbe comprendere anche fenomeni gustosi da studiare come l’innamoramento del capo della sinistra per l’Italia post berlusconiana di Checco Zalone – ma in questa cornice politico e culturale che abbiamo descritto può sembrare un paradosso, ma non lo è, che, in un’epoca in cui il berlusconismo ha vinto, il capo del centrodestra, Berlusconi, scruti il mondo della politica con lo stesso sguardo malinconico con cui il capo del Milan (Berlusconi) osserva l’ex allenatore della sua squadra (Allegri) festeggiare con le braccia al cielo il secondo scudetto consecutivo, vinto per l’appunto dopo essere andato via dal Milan di Berlusconi. Nel calcio è tutto più complicato, e alcune strade è difficile imboccarle a ritroso ed è da escludere che Allegri possa ritornare al Milan. In politica, invece, è tutto più fluido e meno ingessato. E se Berlusconi, un domani, sceglierà di ascoltare i suggerimenti di uno dei suoi migliori amici (Confalonieri, capo di Mediaset, fan di Berlusconi) e di mantenere anche a livello nazionale la stessa distanza segnata a Roma con il centrodestra all’amatriciana con contorni di pajata salviniana e scottadito meloniano la strada non potrà che essere quella di prendere atto che la Leopolda, come direbbe il mitico generale Carl von Clausewitz, non è che la continuazione di uno spirito berlusconiano con altri mezzi. Oggi è difficile, domani chissà.