Ecco il patto della Nazione nazarena
Più che i dettagli del giorno dopo, conta la sostanza del giorno prima e la sostanza del caso Roma, che si collega al caso Milano, che si collega al caso Torino, che si collega al caso Napoli, che si collega al caso no Triv e che è destinata a collegarsi anche al caso del referendum costituzionale, ci dice una cosa chiara: il patto del Nazareno non esiste più da un anno (molte lacrime) ma lo spirito strategico di quel patto, il trasversalismo politico imposto dall’incontro tra Renzi e Berlusconi, la necessità per i partiti di governo di trovare alcuni punti di convergenza, la volontà di essere interscambiabili sulle questioni che contano, ha cambiato completamente il tavolo da gioco, così si dice, e il risultato è sotto gli occhi di tutti. A Roma, a Milano e a Napoli il centrodestra di governo, a prescindere dalle reali possibilità di vittoria, ha puntato su tre candidati non lepeniani la cui caratteristica principale è quella di essere potenzialmente votabili non solo dal centrodestra ma, in caso di ballottaggio, anche dal centrosinistra, o almeno da un pezzo di esso. E’ così a Roma con Marchini. E’ così, caso più complesso, a Napoli con Lettieri. E’ così, caso ancora più complicato, a Milano con Parisi, candidato con origini più a sinistra persino del candidato di sinistra, Beppe Sala, e che per questo potrebbe conquistare voti di sinistra anche al primo turno. E da un certo punto di vista, caso ancora più intorcinato, è così anche a Torino, dove la desistenza del centrodestra (Osvaldo Napoli è un candidato non candidato) ha contribuito a trasformare Piero Fassino nel candidato unico della nazione Nazarena. Lo stesso ragionamento, da un altro punto di vista, è stato fatto dal centrosinistra e nelle stesse città, Roma, Milano, Napoli, Torino, il candidato del Pd è un candidato che, in caso di ballottaggio, potrebbe essere votato senza troppi problemi da un elettore di centrodestra.
Dove vogliamo arrivare? A una doppia considerazione. La prima è che il Partito della nazione non è un’opzione del futuro ma è un’alternativa del presente ed è una realtà che si andrà a riproporre in varie forme nelle occasioni in cui gli elettori saranno costretti a scegliere tra una proposta credibile e una proposta incredibile, secondo la nota ed efficace divisione del mondo tratteggiata in Spagna in campagna elettorale dall’incredibile leader di Podemos Pablo Iglesias. Il ballottaggio, il secondo turno, è una di queste forme, fatto salvo quei casi rari (come Milano) in cui lo scontro è tra due proposte credibili. Ma il ballottaggio delle amministrative, volendo allungare lo sguardo ai prossimi mesi, è destinato a non essere il solo terreno all’interno del quale si andrà a configurare nuovamente uno spirito nazarenico. Si dirà: ma la rottura romana tra la destra berlusconiana e quella salviniana è una rottura definitiva? Di definitivo, specie per chi sa mentire sapendo di smentire, non c’è nulla o quasi nella politica berlusconiana e non c’è dubbio che la strategia del Cav. sia quella di ricomporre uno schieramento ampio, sul modello Milano. Con una differenza rispetto al passato: non a tutti i costi. Roma, da questo punto di vista, è come un grande gazebo, utile a mostrare ai Salvini e alle Meloni la loro marginalità politica in caso di lontananza dal contenitore berlusconiano. Se è vero che nulla è definitivo negli strappi del Cav., come dicevamo, è anche vero che arrivato a questo punto della sua parabola politica, in una fase in cui tra l’altro Berlusconi sta cercando su vari fronti di immaginare chi ci sarà un domani alla guida delle sue creature e delle sue aziende, il capo di Forza Italia non può non essersi reso conto che il destino di un centrodestra di governo è più vicino al pensiero renziano che a quello salviniano. E il riavvicinamento tattico all’area di governo potrebbe avere nel futuro prossimo due conseguenze immediate che andranno verificate sul campo.
La prima, ovviamente, riguarda il referendum costituzionale e, pur con tutte le possibili smentite del caso, risulta, e ci risulta, particolarmente difficile immaginare che Berlusconi faccia campagna elettorale per il no insieme con i compagni di Magistratura democratica (astensione è liberazione). La seconda conseguenza riguarda invece il dopo referendum e la chiave giusta da utilizzare per leggere nello spirito nazarenico del Cav. è questa: nel caso in cui Berlusconi fosse costretto a scegliere da che parte stare, oggi è più facile immaginare il suo centrodestra vicino a Renzi che vicino a Salvini. La traduzione di questo ragionamento è semplice. Non significa allearsi alle elezioni con Renzi (a meno che il referendum di ottobre non vada male per il premier, allora lì…). Significa piuttosto rimettere insieme i cocci del centrodestra così detto moderato anche per essere pronti un domani, persino in una prossima legislatura, a collaborare da una posizione di forza con il segretario del Pd. Berlusconi, naturalmente, sogna di vincere e di costruire un centrodestra sul modello milanese. Ma se un domani la scelta dovesse essere tra Renzi e Grillo, o persino tra un Renzi e un Salvini, il laboratorio romano potrebbe diventare qualcosa di più di una semplice e casuale svolta stracittadina. Comunque andranno a finire le elezioni, c’è un nuovo schema di gioco a Roma: il patto del Nazareno non si vede ma lo spirito c’è, e resterà.