La svolta dopo l'esplosione
I gemelli dell’autogol, Meloni & Salvini, dicono che Berlusconi ha tradito il centrodestra scegliendo Marchini. Il Cav. può tranquillamente replicare che il candidato credibile di centrodestra era Bertolaso, scelto di comune accordo secondo lo stesso schema “manageriale” e trasversale che ha portato alla candidatura promettente di Parisi a Milano: sono i gemelli, non lui, ad aver tentato una forzatura aspirando a investire sé stessi di una nuova leadership romana e nazionale. Leadership? Quale leadership? A Roma Salvini è un tollerato, Meloni un residuo, un lascito elettorale vedremo quanto consistente, l’eredità di un clamoroso fallimento amministrativo e politico. Sul piano nazionale sono una minoranza protestataria. Meritano rispetto, certo, per le loro fatiche; ma anche diffidenza, per il loro facilismo demagogico che li terrà lontani, nonostante le photo-op con The Donald o con la cara Marine Le Pen, da una credibile prospettiva di governo.
Si vedrà. Berlusconi è proteiforme, lo sanno tutti, fa il Nazareno, poi compare con Salvini nella piazza di Bologna, poi va con Marchini e se ne infischia di un’alleanza coatta che si dovrebbe fondare sul suo annientamento o rimpiazzo. Stargli dietro non è facile, come sa il nostro amico Brunetta che aveva appena finito di sigillare con la ceralacca la candidatura imprescindibile di Bertolaso (nel Foglio dell’altro ieri) per vedersela spacchettare a sua insaputa, nelle stesse ore, da quello che Ezio Mauro chiama “il funambolo”, complimento non da poco al di là delle intenzioni di chi lo porge. Ma Roma è Roma, un casino organizzato e chiassoso che conta fino a un certo punto.
Berlusconi non si lascia pensionare con acrimonia ed eccessi di autostima, come un D’Alema o un Prodi, preferisce farsi saltare in aria, esplode. E con lui esplode quella forma politica, il famoso centrodestra, che non ha mai avuto altra identità che la sua: personale, disorganica, ondeggiante, carismatica, vitale, proteiforme. Ora la questione o la sostanza non è contare i voti di quel che resta di Forza Italia, della Lega Nord o della vecchia An riciclata, e negoziare magari un presuntivo titolo di leader sulla scorta di una baruffa all’ombra del Campidoglio. La questione sta nel delineare una “nuova storia nazionale”, come dicono sconsolati i vecchi repubblicani americani spiazzati dal fenomeno Trump.
Una nuova storia nazionale si fa con le idee e dal basso, non senza idee e dall’alto di quello che resta, pochissimo, della vecchia nomenclatura. Ricostruire: vale a dire azzerare e riformulare un’idea di mondo e di Italia, darsi un’intelaiatura intellettuale per afferrare le nuove realtà, il malessere da globalizzazione, la precarietà effettiva e percepita di una nuova generazione di lavoratori, di imprenditori, di cittadini, senza trascurare la grande spinta positiva dell’ottimismo e del volontarismo. Si tratta di una analisi realistica, di una inedita sociologia della crisi di inizio XXI secolo, e della definizione di un pensiero o di un programma di lunga gittata al quale una nuova casa dei conservatori non ottusi deve poter corrispondere come un pezzo di architettura che si veda, piaccia e convinca. In parallelo, nel centrosinistra italiano, con le primarie, il Partito democratico, l’irruzione renziana di una nuova linea e di un nuovo tono, qualcosa di simile è accaduto. Scomporre e ricomporre quello che resta del passato non serve ad altro che a gareggiare inutilmente nella gestione delle paure diffuse.
E questo ovviamente riguarda i gemelli ma anche il Cav., la cura dell’eredità politica che “solum è sua” (Machiavelli), i circoli concentrici e centrifughi che lo circondano, lo adulano, lo tradiscono, lo infastidiscono, lo annoiano.