Inaugurazione dell'anno Giudiziario 2015 a Milano (foto LaPresse)

Produttività, corruzione e altre balle nelle ultime intemerate dei magistrati

Luciano Capone
Per l'Anm i pm italiani sono i più produttivi del continente e per il procuratore Roberti i “magistrati corrotti e collusi” vengono cacciati prima della condanna. Dati alla mano, si tratta solo di sogni.

Roma. Negli ultimi giorni la discussione sulla giustizia è stata infiammata dalle dichiarazioni del nuovo presidente dell’Associazione nazionale magistrati Piercamillo Davigo e dalle conseguenti reazioni della politica (divisa a metà tra contrari e favorevoli) e della magistratura (anche in questo caso una parte concorde e un’altra in disaccordo). La settimana passata è stata quella delle grandi interviste ai magistrati, che sono intervenuti nel dibattito su temi molto sentiti e delicati, come la lotta alla corruzione e alla criminalità organizzata, la riduzione dei tempi dei processi, i tempi della prescrizione, l’uso o l’abuso delle intercettazioni, lo scontro tra politica e magistratura. Sul Fatto ne hanno parlato Davigo e altri due importanti magistrati come il procuratore generale di Palermo Roberto Scarpinato e il procuratore nazionale antimafia Franco Roberti. Si tratta di persone competenti con molta esperienza, titolate a parlare dei problemi della giustizia e a proporre soluzioni, il problema è che nei loro interventi si sono lanciati in affermazioni non vere, proprio su temi di cui dovrebbero essere esperti.

 

Ha cominciato proprio Piercamillo Davigo quando, a Marco Travaglio che gli chiedeva di commentare l’invito del premier Matteo Renzi a “lavorare di più”, ha risposto che “mettere in relazione la durata dei processi con l’accusa ai giudici di essere dei fannulloni è un’offesa e una bugia. Segnalo i dati della Commissione del Consiglio d’Europa sull’efficienza della giustizia: i giudici italiani, su 47 Stati membri, sono quelli che lavorano di più. Il doppio dei francesi e il quadruplo dei tedeschi”. Si può ribaltare su Davigo il giudizio espresso su Renzi: dire che per il Consiglio d’Europa i giudici italiani sono quelli che lavorano di più è “un’offesa e una bugia”. Da diversi anni Davigo e l’Anm sostengono che secondo la Commissione europea per l’efficienza della giustizia (Cepej) i magistrati italiani sono i più produttivi del continente e sul Foglio abbiamo dimostrato che si tratta di un’affermazione falsa, perché proprio la Cepej nelle oltre 500 pagine del suo rapporto non fa mai un’affermazione del genere, segnalando piuttosto che la disomogeneità dei dati provenienti dai diversi paesi non consente di effettuare confronti, neppure fatti in casa artigianalmente.

 

Il procuratore Scarpinato invece, parlando della piaga della corruzione, ha affermato che costa “Sessanta o più miliardi di euro all’anno”, una cifra che solo pochi giorni prima era stata sparata dall’intervistatore e direttore del Fatto. Anche in questo caso si tratta di una cifra inventata. Non esiste alcun documento ufficiale o studio che indichi un dato del genere, che tra l’altro sarebbe completamente fuori scala rispetto ad altre stime: la corruzione italiana, se fosse pari a 60 miliardi, sarebbe la metà di quella europea e circa il 10 per cento di quella mondiale. Un valore sballato, che inspiegabilmente appare credibile a persone così qualificate.

 

Nell’altra lunga intervista il procuratore Roberti ha risposto in maniera sbalorditiva sempre all’accusa di Travaglio ai partiti che “non fanno il repulisti al proprio interno sulla base dei fatti emersi dalle indagini”. “Questo è il vero problema – ha risposto Roberti, proponendo come esempio l’efficienza dell’autogoverno della magistratura – A chi ci obietta che non siamo i depositari dell’etica pubblica perché anche tra noi ci sono corrotti e collusi, rispondo che certo, nessuno è immune: ma noi non aspettiamo che un magistrato colluso venga condannato in Cassazione per rimuoverlo”. Ci sarebbe in pratica nella magistratura, secondo Roberti, “un giudizio etico-deontologico che in politica non esiste”, che prescinde e precede il giudizio penale sui magistrati indagati o imputati. Tutta questa severità nella “rimozione” non si vede. Se si prendono i dati sui procedimenti disciplinari dal 1999 al 2008, si vede che in 10 anni le toghe rimosse sono state solo nove, meno di una l’anno. E, a differenza di quanto dice Roberti, non si tratta di provvedimenti inflitti prima di una condanna, perché la rimozione è la sanzione più grave, generalmente effetto di una condanna penale o di una pena accessoria come l’interdizione dai pubblici uffici. Non è vero che i “magistrati corrotti e collusi” vengono cacciati prima della condanna, in genere accade dopo e molto raramente: una volta l’anno su 9 mila magistrati. In proporzione, ma forse anche in valore assoluto, sono stati di più i ministri e sottosegretari dimessi, molti dei quali – quelli sì – senza neppure essere indagati.

 


Il procuratore nazionale antimafia Franco Roberti

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali