Salvini e Meloni sono caduti dal Cav.
I GIOVANI CADUTI DA CAVALLO
Il Cav. ha messo Bertolaso in panchina e annunciando il sostegno di Forza Italia ad Alfio Marchini ha fatto un solo boccone di Meloni e Salvini (voto 4), giovani eccessivamente ambiziosi e vagamente scostumati che a suo modo di vedere erano venuti meno alla parola data e si erano macchiati del delitto di lesa maestà. I discoli andavano puniti, tra gli applausi dell’intero mondo moderato e diversamente centrista. La leader di Fratelli d’Italia, notoriamente malata di protagonismo, si trova ora di fronte alla prospettiva di un clamoroso insuccesso: arrivare quarta e vedere il ballottaggio del 19 giugno da casa. L’hanno mollata pure alcuni ex della casa comune, la fu Alleanza nazionale. Francesco Storace ha detto che sosterrà Marchini e su questo non si potevano avere dubbi, l’ex governatore del Lazio è troppo sveglio per non fiutare come gira il vento (voto 7), lo stesso faranno Alemanno (però non avere come sponsor l’ex sindaco potrebbe essere un vantaggio di immagine per lei) e il redivivo Gianfranco Fini.
La Meloni dovrebbe fare ventre a terra una campagna di fuoco per sperare di ribaltare le previsioni dei sondaggi: ma ha cominciato male, ad esempio promettendo premio in denaro a chi denuncerà i corrotti, insomma una volta sindaco metterà una sorta di taglia. Passi pure il lepenismo ma in che città di spioni e di corvacci vorrebbe farci vivere? La Russa che è uomo di mondo (voto 7 ma 9 per la sorprendente somiglianza con l’uomo di Altamura) dovrebbe tenerla un po’ di più a freno.
La mossa del Cav. ha alimentato la solita dietrologia, inciucio ha detto la Meloni, favore fatto a Renzi che ricatta l’ex premier tenendolo sotto scacco con le sue aziende, ha detto Salvini. Palle. La scelta di appoggiare Marchini è solo il previsto e necessario allineamento di Roma su Milano, la sola città dove il centro destra è compatto, esprime posizioni moderate e risulta competitivo.
Ci sarà comunque una sfida nella sfida, vedere chi vince tra Marchini e la Meloni: l’esito potrebbe avere forti ripercussioni sul piano nazionale, Salvini potrebbe vedere seriamente incrinata la leadership e la Meloni potrebbe correre il rischio della irrilevanza.
SONDAGGI FINO A UN CERTO PUNTO
E’ in testa la Raggi del M5S, poi Roberto Giachetti del Pd quindi Marchini e infine la Meloni. Si profilerebbe dunque un ballottaggio Cinque Stelle-Pd. Ma la parte bassa della forbice di chi sta davanti è inferiore alla parte alta della forbice di chi sta dietro: i distacchi sono dunque minimi e possono essere colmati tanto più che la campagna ufficiale non è ancora cominciata. E chiunque può incappare in un infortunio di comunicazione o in una scivolosa buccia di banana. Nemmeno la Raggi, che è in politica da meno tempo, non è al riparo dal passo falso.
Ha acquisito una certa notorietà internazionale, ha appeal, è sempre misurata nei toni e sorridente, ma non ha ancora preso corpo, resta puro spirito e perciò indefinibile. Le sue dichiarazioni sono prevedibili e vacue, il programma generico. Una mano potrebbe venirle dalla composizione della squadra, nel caso in cui riesca a tenere insieme personalità di rilievo e di carattere: la presentazione è in alto mare.
Potrebbe anche accadere perciò che la Raggi cominci a scendere da questo che dovrebbe essere il massimo consenso. Ma potrebbe anche continuare a guadagnare punti, dipenderà dalla rabbia e dalla frustrazione dei romani e a quanto si sente in giro sono grandi.
QUESTI ATTACCHI NON PAGANO
Il Pd ha provato ad attaccarla per il praticantato nello studio Previti, poi per aver svolto attività professionale in una società riconducibile a Franco Panzironi, quello delle assunzioni di amici e parenti all’Ama e amico intimo di Alemanno. Le due stoccate sono state parate facilmente, non è rovistando nella vita professionale della giovane avvocatessa che il Pd guadagnerà consensi. E nemmeno facendo campagne fasulle come ha provato a fare l’Unità (voto 4), prendendo (volontariamente?) fischi per fiaschi: anche se fosse stato vero che la Raggi anni fa saltellava cantando meno male che Silvio c’è, non si vede il reato né il crimine e nemmeno il peccato.
UNA BRUTTA IMMAGINE
Mai avremmo voluto vedere Roberto Giachetti in solerte primo della classe che si precipita in parlamento e consegna i nominativi delle liste a suo favore per farse le certificare da Rosy Bindi, (voto 5) nota dispensatrice di certificati di congruità ai canoni del Mulino Bianco. Ma perché deve stabilirlo l’antimafia, che è un organismo parlamentare e non il partito a proprio rischio e pericolo, che ritroverebbe così autonomia e prestigio? La Bindi già compilò una sciagurata lista di impresentabili alla regionali, disattesa dagli stessi elettori che assicurarono il trionfo del’"impresentabile” De Luca in Campania. Non c’era proprio bisogno di questo atto di sottomissione.
IL DOTTORE PRESCRIVE
Da quando Davigo ha parlato, il dibattito sulla corruzione e in generale sui tempi della prescrizione ha toccato vette inimmaginabili. Vogliono fermare l’orologio della giustizia per qualche annetto, o al momento del rinvio a giudizio o dopo la sentenza di primo grado: così un processo che già normalmente dura anni durerà lustri. Si capisce la frustrazione per reati che passano in cavalleria per scadenza dei termini, ma il diritto sancito dalla Costituzione a un processo giusto e celere dov’è andato a finire? Non si dice forse giustizia ritardata giustizia negata? E poi quanti corrotti o corruttori l’hanno fatta franca per avvenuta prescrizione?
STRANE COPPIE
La niente affatto strana coppia Alfonso Sabella–Peter Gomez ha partorito la proposta più surreale del decennio: fare come in Bolivia dove l’imprescrittibilità della corruzione è stata messa addirittura nella Costituzione.
Non so proprio cosa passi per la testa di questi che vorrebbero metterne dentro un massimo a prescindere, questi che dicono che non ci sono abbastanza colletti bianchi in galera e fingono di non vedere un Nicola Cosentino che è “al gabbio” da tre anni senza aver viso celebrare l’ombra di un processo: non è forse barbarie giustizialista?
Ai giudici non togati, poi, cioè ai vari Gomez, Travaglio, Barbacetto, Saviano et similia, (3, voto collettivo per deformazione professionale) non sarebbe male se toccasse in sorte quello che è toccato al povero consigliere di Forza Italia a Reggio Emilia, Giuseppe Pagliani: il quale accusato di concorso esterno in associazione mafiosa, ha sentito il procuratore chiedere una pena di dodici anni e poi è stato assolto perché nulla sussisteva, tutto era fasullo. E gli è andata di lusso perché era avvocato, benestante e si è potuto permettere una buona difesa: se l’è cavata con una caduta dalle nubi e ventidue giorni di carcere, una inezia. Fateveli voi maoisticamente e poi ne riparliamo.
VERE DONNE DA FICTION
Invitate a Porta a Porta per l’ennesima marchetta aziendale sull’ultima fiction nazionale popolare targata Rai1, Vanessa Incontrada ha sottolineato la “cinicità” del suo capo. E Chiara Francini l’uso come arma impropria di un tacco “Louboutan”. Deliziose (voto 10 e lode).