Salvini maggioritario
Milano. “Dove ci sono Fini e Verdini che esultano, lì non c’è Salvini”. La frase di fine conversazione risponde più netta di tutto il resto alla domanda posta in partenza: Silvio Berlusconi è davvero così fuori controllo, così sotto scacco di Matteo Renzi che è meglio andare da soli? Non è mai Berlusconi in persona, il problema di Matteo Salvini: è quel che sta intorno. E se c’è Verdini, se c’è aria di partito della nazione, allora no. Anche se Salvini, all’altra domanda – se nel 2017 si andasse a votare con una legge che premia le coalizioni, davvero la Lega sarebbe pronta a rompere e correre da sola? – prova a rispondere con più dialettica politica, con un po’ di slalom tra gli stessi “paletti” di programma posti dalla Lega e su cui “o ci mettiamo d’accordo su tutti i punti, o è un problema”. Il problema è se si può stare un po’ con Renzi e un po’ all’opposizione.
“Salto tutti gli aspetti personali e i personalismi. Non contano. Per me farà fede soltanto il programma. Sulla flat tax, che sia al 25 o al 15 per cento lo vedremo, ma ci stiamo? E sulla sanatoria dei 500 miliardi di crediti inesigibili dello stato nei confronti degli artigiani? E sulla legge Fornero? E soprattutto sull’Europa? Ci sarà coalizione soltanto con chi ci sta su tutto”. Giuliano Ferrara li ha battezzati “i gemelli dell’autogol”, lui e Giorgia Meloni: il loro è un tentativo tutto politicista di prendersi la leadership e scalzare il Cavaliere. Risponde di no, Salvini. E non ha l’aria di quello che sta facendo autogol: “Io semplicemente non voglio più commettere gli stessi errori del passato: come nel 2008, con una coalizione divisa e senza un programma definito. Guarda, non sono stati i personalismi, che pure c’erano, a far fallire tutto: è che ognuno aveva un programma diverso. Adesso, se Berlusconi vuole fare un’alleanza, il programma è lì. Poi è chiaro che se in Europa sta con la direttiva Bolkestein che prevede le aste per le aziende balneari e che costerà 200 mila posti di lavoro, non ci siamo. Ormai è chiaro a tutti che l’Europa va rivista fin dai Trattati. però a Bruxelles Forza Italia sta al governo, con il Ppe: decidano loro che cosa vogliono”. Va bene, il Cavaliere è politicamente ondivago, un po’ di qua e un po’ di là. Però pure la Lega: a Milano sostenete un candidato molto poco vostro, in coalizione con i centristi, e va tutto bene. Ed è il modello Maroni, il classico centrodestra. Perché a Roma no, e preferite andare a perdere divisi? “No, non è per perdere, ma per coerenza. Se si candida un leader di partito, la Meloni, il candidato è quello per tutti, no? Io ho fatto solo gioco di squadra”. Sì, ma tutti invece pensano che Salvini stia usando Roma come la prova generale per le primarie del centrodestra. “No, io non uso i test locali come cavie per le strategie nazionali. Il modello Milano va bene a Milano, e magari le dinamiche nazionali sono diverse. Delle primarie parleremo nel 2017, resto convinto che fare esprimere gli elettori è meglio. Vedremo la formula, ma credo che poi un passaggio popolare ci sarà”.
Un Salvini dialettico e non di rottura, dopo i giorni degli strappi romani. Ma con l’aria, o la consapevolezza, di aver già spartito il campo. Coi i “dieci paletti” del programma, con l’aut aut su chi ci sta. “Io credo che una buona parte dell’elettorato di Forza Italia la pensi come noi, e anche Berlusconi. E’ qualcuno dei suoi, che magari no”. Eppure se è vero che lei crede nel modello di Milano, cioè l’unità del centrodestra con Berlusconi, perché tirare la corda, fino a romperla? “Lo ripeto: non a tutti i costi. E’ stato l’errore del passato, tenere insieme gente che la pensava diversamente. Dobbiamo evitarlo”. Salvini non lo dice, ma il suo ragionamento sottintende un concetto che a qualcuno ricorderà altro: la vocazione maggioritaria. “I numeri dicono che, in questo momento, la Lega va più forte di Forza Italia, ha più consenso e più fiducia. Quindi, vuol dire che quel che pensa la Lega deve avere il suo peso. Punto”.