Il flop dello stato che voleva far piangere i ricchi
Roma. Negli anni più duri della crisi, quando l’Italia era a un passo dall’andare gambe all’aria, c’era chi indicava i responsabili della difficile situazione economica: gli speculatori finanziari, i ricchi e gli evasori, spesso indistintamente additati come il top 1 per cento che si era ingrassato alle spalle del restante 99 per cento della popolazione. In quel clima il governo tecnico – sostenuto da una grande coalizione – produsse alcune risposte dai toni demagogici che già mostravano in nuce tutta la loro inconsistenza: la cosiddetta “Tobin tax” per colpire gli speculatori, le supertasse sul lusso contro i ricchi e i blitz di Cortina per acciuffare gli evasori.
Ma la “caccia alla casta” (questa volta economica e non politica) ha le gambe corte e, a distanza di qualche anno, si può dire che è stata un fallimento. E’ filtrata da pochi giorni la notizia che il governo sta pensando di congelare la tassa sulle transazioni finanziarie (comunemente chiamata Tobin tax) per rilanciare la competitività del settore finanziario e rendere il nostro mercato più attraente agli investitori esteri. Nella speranza che Atlante abbia le spalle robuste, si cerca in qualche modo di rendere più leggero il peso del sistema bancario.
La Tobin tax, introdotta nel 2011 dal governo Monti, si è rivelata sin dall’inizio un flop, con un gettito di poche centinaia di milioni, molto lontano dal miliardo messo a preventivo. A fronte dell’incasso esiguo ha ridotto i volumi scambiati, reso meno competitivi gli operatori e colpito più i piccoli risparmiatori dei “grandi speculatori”, che hanno a disposizione diversi modi legali per evitarla. E non si può dire che non ci fossero già stati esperimenti di “Tobin tax in un solo paese” a suggerire come sarebbe andata a finire. L’esempio più celebre è la Svezia. Negli anni 80 Stoccolma introdusse una Tobin tax che in pochi anni fece crollare gli scambi finanziari e fuggire i capitali nella vicina Londra. Dopo un po’ la Svezia è tornata sui suoi passi e lo stesso pensa di fare l’Italia cancellando una tassa che, a causa delle sue maglie larghe, ha per fortuna prodotto meno danni che in Scandinavia.
Non è andata meglio con la supertassa sugli yacht che avrebbe dovuto far piangere Briatore, gli sceicchi e tutti i super ricchi. E’ andata a finire che i miliardari sono salpati per gettare le ancore delle loro barche qualche miglio più in là, in Croazia, Grecia e Spagna. In quattro anni il governo ha raccolto pochi spiccioli, perdendo però oltre 600 milioni di euro di introiti legati alle 40 mila imbarcazioni che sono fuggite all’estero e si sono portate via migliaia di posti di lavoro diretti e dell’indotto. A piangere sono stati i poveri e le casse dello stato che infatti, poco dopo, ha abolito la tassa sperando di convincere i sorridenti miliardari a tornare nei nostri porti.
E il blitz di Cortina? Alla vigilia della notte di Capodanno del 2011, nel pieno della stagione turistica, una task force di 80 ispettori piomba sulla località delle Dolomiti per fare centinaia di accertamenti a locali, alberghi, gioiellerie e turisti in possesso di auto di lusso. Sono i giorni in cui il governo Monti punta forte sulla lotta all’evasione e il capo dell’Agenzia delle entrate, Attilio Befera, che pure ha a disposizione centinaia di banche dati dei contribuenti, giustifica il rastrellamento dicendo che “E’ necessario incutere un sano timore in chi evade il fisco. Operazioni come quella di Cortina sono un deterrente per far sapere che l’Agenzia lavora”. E così dopo Cortina arrivano i blitz in altre perle del turismo di lusso come Courmayeur, Capri e Portofino. Incutere sano timore non ha portato i frutti sperati se Rossella Orlandi, che è succeduta a Befera, sceglie ora di abbandonare le retate: “Noi non crediamo ai blitz, l’evasione è raccolta tra i grandi contribuenti o i grandi gruppi. E’ li che lo stato perde le sue battaglie tributarie”.