Contro le arpie del partito del No, Renzi deve avere più coraggio su pensioni e giustizia
Al direttore – Che l'Italicum e la legge di riforma del Senato abbiano dei visibili difetti, non lo nego. Tuttavia, certi politici e politologi, costituzionalisti e magistrati, sindacalisti e giornalisti, registi e attori, cantanti e ballerine, quando accusano il progetto del governo di attentare alla democrazia repubblicana mi ricordano non i gufi renziani ma le arpie virgiliane, le quali "magnis quatiunt clangoribus alas" (scuotono le ali con grandi schiamazzi).
A questi uccellacci si potrebbe facilmente replicare enumerando le aberrazioni sfornate dai dottissimi dibattiti del passato, culminate nel capolavoro che ha stravolto il titolo quinto della Carta e sfasciato lo Stato, con il convinto e lungimirante contributo di tutta la migliore intellighenzia del centrosinistra. Ma sarebbe fiato sprecato.
In ogni caso, non le nascondo di essere preoccupato. Renzi è ora atteso dalla prova dei fatti. La storia europea degli ultimi decenni ci dice che non sempre le grandi rotture vengono premiate dall'elettorato. Penso alla caduta di Kohl e Schröder, i veri fondatori della moderna potenza tedesca, e a quella della stessa Margaret Tatcher. Per restare in sella e vincere il referendum di ottobre, forse nei prossimi mesi sarebbero sufficienti poche scelte per arginare, quanto meno, la crisi di fiducia che investe il renzismo (il cui principio costitutivo è dato, appunto, dalla fiducia nel leader): meno pastrocchi sulle pensioni e sui risparmiatori colpiti dalle crisi bancarie, più coraggio contro la malagiustizia e il "partito cattivo", per usare la definizione di Fabrizio Barca. A me non sembrano bagatelle.