Il caso Cioni svela un cortocircuito tra pm e politica nella prima éra renziana
Firenze. Talvolta la storia di un paese passa dalle piccole cose. Questa, però, da un’inchiesta giudiziaria di Firenze, che ha aiutato a spazzare via l’intera classe politica della filiera corta Pci-Pds-Ds, che aveva governato per 30 anni e che, al netto di ricostruzioni complottiste, ha nei fatti inciso sulla politica nazionale e sull’ascesa di Matteo Renzi. Ma iniziamo dalla fine. “Mi hanno accusato di corruzione per aver ricevuto soldi da uno sponsor come Fondiaria per pagare una campagna per la sicurezza stradale e i condizionatori per un centro anziani. Credevo di meritarmi un premio e invece mi è arrivato sul groppone un processo, accusandomi di aver favorito gli interessi urbanistici del gruppo Ligresti. Se qualcuno dovrebbe risarcirmi? Non c’è prezzo. Come fanno a ripagarmi di quello che ho perso in otto anni? Avevo fatto della politica la mia ragione di vita e quest’inchiesta mi ha levato tutto. Ma la prossima volta i magistrati ci pensino due volte prima di ammazzare un uomo. Anche tre volte”. Graziano Cioni, 70 anni, già senatore fiorentino ultradalemiano, per una vita assessore-sceriffo di Palazzo Vecchio, ma soprattutto l’unico in grado di contrastare la corazzata nuovista dell’ex Margherita Renzi alle primarie a sindaco di Firenze del 2009 (momento chiave per la sua scalata verso Palazzo Chigi e di questo racconto).
I’ Cioni, come lo chiamano tutti a Firenze, ha passato gli ultimi anni della sua vita a difendersi dalla più infamante delle accuse e a combattere quello che lui chiama sarcasticamente “l’inquilino inglese”: il Parkinson. Una premessa: nessuna santificazione di un personaggio controverso, tanto amato quanto odiato, ma la sua storia va raccontata nel dettaglio, perché emblematica del cortocircuito di politica-informazione-giustizia e di certe toghe, che troppo spesso pensano di potersi sostituire alla politica. Cioni viene da Pontorme, minuscola frazione a due passi da Empoli. Cresce in una famiglia di “cenciai”, quelli che rivendono stracci: “Conosco bene cosa significa il detto: è come mangiare e stare a guardare. Da bambino ero talmente povero che il sabato mia sorella mi portava davanti al bar Italia di Empoli: mi mettevo alla vetrina, così almeno vedevo la gente mangiare il gelato, perché noi non avevamo i soldi per comprarlo”. E’ il seme che inciderà sul modo di fare politica del futuro sceriffo. Che fonda tutto il suo consenso sul contatto con il popolo: armeggia di continuo, fa favori, ne riceve altrettanti. Sa tutto di tutti e anche per questo tiene in pugno chi tenta di andargli contro. I suoi detrattori lo accusano di far politica in modo clientelare, borderline, e molte delle accuse che la procura gli rivolge sono dovute a questo. Ma la Cassazione, dopo 8 anni, le ha liquidate perché “il fatto non sussiste”. E lui: “Ho fatto politica a volte in modo discutibile? E’ vero – ha spiegato al Corriere Fiorentino – ma questo, in una democrazia, lo giudicano gli elettori, mica i magistrati. Io mi sono sempre candidato e ho sempre preso più voti di tutti”.
Riavvolgiamo il nastro. Firenze è urbanisticamente satura. L’unica area per costruire è a nord-ovest della città, a Castello, in un mega terreno a ridosso dell’aeroporto. La proprietà è della Fondiaria-Sai di Ligresti (oggi Unipol). E’ qui che alla fine degli anni 80 la giunta Pci prepara una mega variante per edificare 4 milioni di metri cubi. Non siamo ai tempi di Renzi: nel partito c’è dibattito e si rischia una spaccatura, inaccettabile per il Pci. Tutto sembra andare pro mattone, fino a quando l’allora segretario cittadino comunista riceve una telefonata da Achille Occhetto, che in piena notte blocca tutto il piano speculativo. Lo sviluppo dell’area resta bloccato per quasi 20 anni. Fino a quando, il sindaco è Leonardo Domenici, Della Valle compra a gratis la Fiorentina fallita dell’èra Cecchi Gori. In tre anni la squadra risale in serie A. Un’occasione ghiotta per dare un futuro a quei 160 ettari, costruendoci un nuovo stadio, con cittadella commerciale e parco divertimenti, ma soprattutto con un mix di immobili pubblici e privati, tra cui la nuova sede della Provincia, guidata allora da Renzi. In quel periodo la procura di Firenze, guidata da Ubaldo Nannucci (ala sinistra di Magistratura Democratica), inciampa per caso in alcune intercettazioni, che secondo l’inchiesta fanno emergere il presunto malaffare e la presunta corruzione della giunta Domenici sullo sviluppo di Castello.
Vengono travolti gli assessori Gianni Biagi (Urbanistica) e, appunto, Graziano Cioni, molto legato a Fausto Rapisarda, braccio destro del proprietario dei terreni Ligresti. Lo sceriffo viene accusato di corruzione, perché le intercettazioni sembrano dimostrare che Cioni favorisca politicamente gli interessi di Ligresti (pur non partecipando al voto sulle delibere), ricevendo in cambio un aiuto sulla carriera di uno dei suoi figli (che lavora in Fondiaria), una casa ad affitto scontato per un’amica, ma soprattutto alcune migliaia di euro come sponsorizzazione per pagare una campagna sulla sicurezza stradale e acquistare alcuni climatizzatori per un centro anziani. Apriti cielo. Cioni, siamo nel 2008, è all’apice della sua popolarità nonostante i 35 anni di carriera, anche a livello nazionale per le sue battaglie pro sicurezza in città, ed è in corsa per sfidare alle primarie l’allora semisconosciuto Renzi e l’erede designato post Domenici, Lapo Pistelli. Quell’inchiesta, con sondaggi assai favorevoli, costringe lo “sceriffo” a ritirarsi. Va registrato che, nelle intercettazioni, Cioni dice: “Se vinco io Renzi fa il vicesindaco e viceversa se vince lui…”. Quel profluvio di intercettazioni dà il colpo di grazia alla vecchia classe politica rossa, già da tempo non più in sintonia (per usare un eufemismo) con la città. Ma soprattutto toglie di mezzo il principale avversario di Renzi, che dall’inchiesta viene lambito, rischiando di essere indagato per un reato minore, inciampo che comunque gli sarebbe costato la candidatura, visto il vento giustizialista nel Pd impegnato nella guerra (via toghe) contro Berlusconi.
In quelle settimane decisive di interrogatori e giornalate, a guidare la procura di Firenze arriva Giuseppe Quattrocchi, che a Lucca aveva tra i suoi pm più fidati Domenico Manzione, oggi sottosegretario del governo Renzi e fratello di Antonella, prima comandante dei vigili con Renzi sindaco e oggi capo della macchina legislativa di Palazzo Chigi. Quattrocchi, oggi in pensione e consulente per la sicurezza del sindaco Dario Nardella, è un esponente di Unicost, componente centrista e moderata, una svolta storica. Come una ventata di aria nuova viene percepita dai fiorentini la candidatura del giovanissimo Renzi alle primarie.
La storia non si fa certo con i se e con i ma. La domanda, però, sorge spontanea: ma se non ci fosse stata quest’inchiesta, Renzi sarebbe diventato sindaco, trampolino per la rottamazione e la scalata verso Palazzo Chigi? Sabato mattina Renzi, nel pieno del braccio di ferro tra governo, Pd e magistratura, ha chiamato Cioni: “Graziano, sono felice sia finita”. Dopo le accuse infamanti, sciolte come neve al sole, ma 8 anni dopo.