Grillo Portavoce del popolo? No, delle procure. Postille sul caso Pizzarotti
Al direttore - Pizzarotti, dunque, espulso dal Movimento 5 stelle per un avviso di garanzia legato a un presunto abuso di ufficio. L’ultimo chiuda la porta?
Marco Tidei
Si potrebbe ironizzare sul fatto che il movimento 5 stelle usa spesso la clava della questione morale per colpire il dissenso interno al movimento. Ma la vicenda Pizzarotti, a ben vedere, ci dice qualcosa di più che va al di là della semplice constatazione della doppia morale grillina (Nogarin no, Pizzarotti sì?). L’approccio usato da Grillo sulle questioni legate al rapporto tra politica e giustizia non è solo comico ma è un abominevole cocktail fatto di approssimazione, di moralismo, di giustizialismo e di non rispetto dell’unico principio che un partito dovrebbe seguire quando si ritrova a fare i conti con un avviso di garanzia: l’articolo 27 della Costituzione, quello che dice che siamo tutti innocenti fino a prova contraria. Trasformare un avviso di garanzia in uno strumento per condannare moralmente un cittadino è una negazione non soli dei principi basilari del diritto civile e persino della democrazia ma anche di un famoso detto grillino. Ricordate? Diceva Grillo che uno vale uno e che i grillini non sono altro che cittadini portavoce del popolo. Gli elettori grillini, a cui va la nostra solidarietà, scoprono oggi che per Grillo i voti degli elettori, che hanno votato Pizzarotti quattro anni fa, valgono meno di un avviso di garanzia e che i grillini in capo non sono dei portavoce del popolo ma sono dei semplici portavoce delle procure. La trasparenza qui non c’entra nulla, naturalmente. C’entra un altro principio con cui tutti i partiti che di volta in volta si sono fatti portavoce delle procure si sono ritrovati a fare i conti: quello di aver trasformato l’uso della macchina del fango in una dipendenza letale, e forse mortale, che un giorno colpisce i tuoi avversari ma che il giorno dopo colpisce anche te. Forza Pizzarotti.