L'apocalisse del giustizialismo spiegata a uno che c'era, Ezio Mauro
Un generale che s’è tolto la divisa, ma non riesce ad abituarsi ai panni civili e più comodi e torna solitario ai campi di guerra su cui ha tenuto il comando, e contempla con una pietas tutta nuova il paesaggio dopo la catastrofe. Così viene da immaginarselo, Ezio Mauro, ora che non è più commander in chief della sua armata. E’ stato un buon soldato, tutto regolamenti, e ora che torna sul campo non può che giudicare con sincerità le macerie che vede. E poiché così immaginiamo l’uomo, preferiamo prenderlo in parola che riceverlo a sassate: e tu, da che parte sbagliata hai combattuto, tutti questi anni?
Ieri Ezio Mauro ha scritto su Repubblica un onorevole editoriale, “I supersiti dell’apocalisse”, in cui ha denunciato senza se e senza ma i guai del giustizialismo e di un “derby quotidiano e miserabile” (parla di quello tra Pd e Cinque stelle, ma sa bene che è un campionato in cui giocano tutti) che ha ridotto la politica alla palude di una “legalità” presunta e farlocca. Cosicché “siamo ormai al fascio di ogni erba”. Dunque, i recenti fatti sono “l’occasione per una riflessione fuori da ogni polemica sul triangolo tra la legalità, la politica e l’antipolitica”. Pagato il tributo dell’ipocrisia alla virtù – il “problema della nuova permeabilità clamorosa” delle élite alla corruzione – Mauro ragiona sui danni di un concetto di legalità che “si è trasformata in un vero e proprio programma politico” e di un’antipolitica che “delega ai magistrati” la soluzione dei problemi. Dimenticando che la bandiera dell’onestà è “una condizione indispensabile, ma non sufficiente, in quanto rischia di ridurre la politica a una sola dimensione”. E riflette, l’ex direttore, sulla tremenda verità: “Tutto questo è inevitabile quando si scommette sulla crisi del sistema a fini di profitto politico”.
Ma siccome Ezio Mauro è un uomo d’onore, vogliamo pensare che descrivendo questa catastrofe della politica, della democrazia e delle istituzioni (questa “feroce gioia contro le istituzioni”, dice citando Croce) abbia la consapevolezza e forse un po’ di pentimento tardivo (“se c’è un pentimento, è tardivo”, direbbe Paolo Nori) di aver guidato lui stesso, con mano ferma e per vent’anni un giornale-esercito che di quell’ideologia e di quei mezzi ha fatto arsenale e bandiera. Nella battaglia giustizialista dell’epoca di Mani pulite; nel fiancheggiamento mai rinnegato fino a questi ultimi giorni (ed è stato il suo colonnello Francesco Merlo a inaugurare l’autodafé) del partito dei giudici; nella personalizzazione-demonizzazione della lotta politica contro Berlusconi; nelle cariche a cavallo con la sciabola di ogni affittopoli, mafiopoli, cazzabubbopoli degli ultimi trent’anni (cariche spesso passate in cavalleria, poi); nella sordida gogna delle dieci domande al Cav.; nei post-it di “intercettateci tutti”; nei Palasharp. Ha ragione Mauro quando dice che i cinque stelle sono “gli ereditieri del collasso del sistema”, e non i protagonisti del cambiamento. Ma dovrebbe ammettere che in quella folle guerra giustizialista e antipolitica contro la democrazia e le istituzioni, lui ha valorosamente combattuto.
Ps. Tutto questo, nel giorno in cui il sito di Rep. mette online la telefonata del Cav. con le olgettine che bussano a quattrini. Ma i vecchi generali non c’entrano.