La melma non è cioccolato. Manuale di conversazione per i garantisti dell'ultima ora

Claudio Cerasa
Breve ripasso per chi scopre ora l'esistenza della magistratura politicizzata. Un fenomeno che non è nato con il M5s, bensì molto prima, con un'alleanza politica trasversale che mirava all'eliminazione del nemico per via giudiziaria.

Oggi sono tutti lì che fischiettano molto distratti e molto stupiti allargando le braccia, boh, facendo finta di niente, mah, e meravigliandosi, signora mia, di questo strano e incomprensibile paese in cui, per ragioni invero misteriose, può capitare che vi siano magistrati che fanno politica, tu pensa, può capitare che ci siano giudici che usano le sentenze come se fossero editoriali, ma non mi dire, e può capitare che vi siano, per ragioni davvero inspiegabili, politici che trattano gli indagati come se fossero condannati in via definitiva e giornali, ah queste mezze stagioni, che scambiano i peccati per reati e che, spacciando la libertà di sputtanamento per libertà di stampa, si divertono a offrire ai lettori dettagli scabrosi sulla vita degli altri. Insomma. Sarà capitato anche a voi negli ultimi mesi di ritrovarvi in un qualche salotto con qualche amico di sinistra un tempo fiero anti berlusconiano che all’improvviso è lì di fronte a voi che cade giù dal pero cominciando a denunciare questo mondo crudele in cui i magistrati abusano della custodia cautelare, in cui i giudici tradiscono il principio di terzietà, in cui i politici sputano sull’articolo 27 della Costituzione (presunzione di innocenza) e in cui le procure, caspita non mi dire, si muovono contro il governo come se fossero spinte da una furia ideologica. Dire ai nostri amici benvenuti tra noi è il minimo ed è un gesto generoso e cordiale. Ma a tutti i garantisti della seconda e della terza ora, che per una vita hanno scambiato per cioccolato ciò che noi invece consideravamo melma, sarebbe bene forse spiegare come è stato possibile arrivare a questo punto, a questa barbarie, a questo simpatico contesto in cui i ventilatori del fango, accesi da sempre sulla classe politica del nostro governo, essendo puntati su una classe di governo non di centrodestra, improvvisamente vengono osservati da tutti con occhio diverso e rammaricato, con lo sguardo di chi scopre d’un tratto che la melma, appunto, non è cioccolato. Chiunque abbia voglia di discutere senza ipocrisia con i nuovi amici garantisti – benvenuta tra noi a Virginia Raggi, benvenuto tra noi ad Antonio Ingroia, benvenuta tra noi a Repubblica, benvenuto tra noi al Pd – dovrebbe però seguire un filo logico in base al quale orientarsi per spiegare con esattezza come è stato possibile arrivare fin qui.

 

Breve ripasso per gli smemorati. Il circo mediatico giudiziario, ovvero quella miscela irresistibile e incandescente che mette insieme moralismo e giustizialismo e che ha fertilizzato il terreno sul quale sono cresciuti e maturati magistrati politicizzati e procure d’assalto, non è nato così per caso e non è nato con il Movimento cinque stelle, ma è nato grazie a una collaborazione allegra e spietata che per molti anni è stata portata avanti da un’alleanza trasversale che ha individuato nella rimozione del nemico per via giudiziaria la chiave giusta per sbarazzarsi dei propri avversari politici. Di quel sistema barbarico che ha fatto della presunzione di colpevolezza un dogma centrale del proprio pensiero culturale, ancora prima che ritornasse Davigo a guidare il pool degli indignati d’Italia, sono stati complici tutti coloro che per trasformare la questione morale nella più grande emergenza italiana hanno accettato di sputazzare allegramente sulla classe politica caricando la magistratura di un compito improprio: essere custode del codice morale, non più del codice penale; giocare con la retorica della resistenza costituzionale per contrastare l’attività di tutti i governi che periodicamente hanno provato a modificare la Costituzione per dare al paese una maggiore governabilità; sacrificare il principio di terzietà, previsto dall’articolo 104 della Costituzione, giustificando periodicamente, in nome della democrazia e della libertà di pensiero, la presenza anomala di correnti politicizzate nel mondo della magistratura. I vostri commensali oggi non faticheranno a condividere con voi questa piccola analisi sistemica ma forse faranno ancora una volta finta di cadere dal pero quando gli ricorderete quanto segue e gli sbatterete in faccia la verità. Il circo mediatico giudiziario è stato creato dalla stessa sinistra (Pci, Pds, Ds, Pd) che oggi si indigna molto per il giustizialismo grillino e la politicizzazione della magistratura ed è la stessa sinistra che fino a poco tempo fa si apparentava ai campioni delle manette (Di Pietro) per moralizzare la società intera. Allo stesso modo, il circo mediatico giudiziario non si è manifestato così per grazia di Dio ma è stato alimentato dagli stessi giornali (Repubblica e Corriere) che per molti anni sono stati le gazzette delle procure prima di lasciare il posto agli amici del Fatto Quotidiano e prima di diventare improvvisamente, a fasi alterne, fustigatori dei protagonismi dei magistrati. Il travaglismo non nasce per caso ma è un prodotto che è stato partorito in quella fase in cui l’anti politica e la politica degli anti casta si sono ritrovate nell’abbraccio fecondo e giustizialista di due grandi giornali (Repubblica e Corriere). E allo stesso modo il grillismo, il giustizialismo e quel moralismo anti costituzionale che non prevede la presunzione di innocenza e di cui è stato vittima il sindaco di Parma Federico Pizzarotti non nasce così senza motivo ma è stato prodotto da quelle forze politiche che hanno scelto strategicamente e per lungo tempo di spacciare per cioccolato ciò che invece non poteva che essere melma.

 

Oggi naturalmente ci fa piacere sederci a tavola con amici che la pensano come noi e che individuano nel protagonismo della magistratura e nel giustizialismo chiodato un dramma del nostro paese. Gli diciamo, con gioia, benvenuti tra noi ma gli ricordiamo anche che quando voi eravate ancora sugli alberi noi, amici giustizialisti, eravamo già froci garantisti.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.