Il Pd contro le tesi manichee dei giudici alla Scarpinato
L’intervista-manifesto del procuratore generale di Palermo, Roberto Scarpinato, rilasciata a Liana Milella della Repubblica l’11 maggio scorso, fonda le ragioni del no (un no esplicito, pubblico e militante) alla riforma costituzionale, su una teoria generale della crisi della democrazia europea. “Si è avviato – dice Scarpinato – un complesso e sofisticato processo di reingegnerizzazione oligarchica del potere, che si declina a livello sovranazionale e nazionale”. La principale manifestazione di questo processo “è quella di sovrapporre i principi cardine del liberismo a quelli costituzionali, trasfondendo i primi in trattati internazionali e trasferendoli poi nelle costituzioni nazionali”. Esempio tipico di questa tendenza in atto, spiega Scarpinato, “è l’articolo 81 della Costituzione (come riformato nel 2012, ndr) che, imponendo l’obbligo del pareggio di bilancio, impedisce il finanziamento in deficit dello Stato sociale e trasforma i diritti assoluti, sanciti nella prima parte della Costituzione, in diritti relativi, cioè subordinati a discrezionali politiche di bilancio imposte da organi sovranazionali, spesso di tipo informale e privi di legittimazione democratica”. Più radicalmente, prosegue il procuratore, il nuovo articolo 81 “ha costituzionalizzato il principio della legalità sostenibile, cioè della subordinazione dei diritti alle esigenze dei mercati, e quindi delle forze che governano i mercati, e si avvia a divenire una norma baricentrica del processo di ricostituzionalizzazione in corso”. Abbinato alla torsione autoritaria insita nella riforma Boschi, conclude Scarpinato, il nuovo articolo 81 rischia di trasformare il ruolo del magistrato “da amministratore di giustizia in amministratore di ingiustizia”. Di qui il dovere delle toghe di scendere in campo per il no nel referendum.
La tesi di Scarpinato è suggestiva, sul piano filosofico. Come sono sempre suggestive le riduzioni della complessità a spiegazioni semplicistiche e manichee. Il procuratore di Palermo, ad esempio, sembra ignorare del tutto piccoli dettagli come lo scontro tra americani e tedeschi sul rapporto tra debito e crescita. Ma è già sul piano filologico che la tesi vacilla. Contrariamente a quanto si sente dire a destra e a manca, dai populismi di tutte le osservanze, il nuovo articolo 81, come è uscito dalla riforma del 2012, votata dalla larghissima maggioranza che sosteneva il governo Monti, non solo non ha ridotto gli spazi di discrezionalità della politica di bilancio previsti dal testo originario del 1948, ma li ha significativamente ampliati.
Il testo del 1948 stabiliva il principio del pareggio di bilancio in modo assai più perentorio del testo del 2012. Il vecchio testo, figlio del rigore lombardo di Ezio Vanoni, si limitava infatti a prescrivere, al comma 4: “Ogni legge che importi nuove o maggiori spese deve indicare i mezzi per farvi fronte”. Ogni singola legge. Compresa, naturalmente, la legge finanziaria. Non può uscire una lira dalle casse dello Stato, senza che ne entri un’altra a copertura. Punto. Il finanziamento in deficit dello Stato sociale, ampiamente praticato per decenni e rimpianto da Scarpinato, ha dunque preso corpo “contro” la Costituzione nata dalla Resistenza e non grazie ad essa. Il gigantesco debito pubblico italiano, accumulato fuori da qualunque previsione costituzionale, sta lì a dimostrare quanto l’articolo 81 sia stato la norma più ignorata, aggirata, violata della storia della Repubblica.
Il nuovo articolo 81 è assai meno rigido, già dal comma 1, che recita: “Lo Stato assicura l’equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio, tenendo conto delle fasi avverse e delle fasi favorevoli del ciclo economico”. In altre parole, lo Stato deve fare avanzo nelle fasi positive, per avere margini di deficit in quelle negative. “Il ricorso all’indebitamento – recita il comma 2 – è consentito solo al fine di considerare gli effetti del ciclo economico e, previa autorizzazione delle Camere adottata a maggioranza assoluta dei rispettivi componenti, al verificarsi di eventi eccezionali”. Dunque il ricorso all’indebitamento, che era una prassi “extra” e “contra legem” nel vecchio regime, una sorta di costituzione materiale sorta accanto a quella scritta, come un palazzo abusivo costruito accanto a una dimora storica, viene portato a trasparenza nel testo della Carta e viene regolato sulla base di precisi criteri.
A questo proposito può essere interessante rileggere una nota del servizio del bilancio del Senato, riguardo alla legge di stabilità per il 2015. “Per quanto attiene al rispetto dei vincoli di copertura degli oneri di natura corrente previsti dal ddl, si può ritenere che le soluzioni presentate nello schema di copertura del ddl di stabilità in esame siano conformi alle disposizioni se interpretate alla luce del mutato quadro di bilancio nazionale conseguente alla riforma che ha introdotto il pareggio di bilancio in Costituzione. In particolare, l’obbligo di non peggioramento del risparmio pubblico si può ritenere assorbito dal vincolo di equilibrio formulato dalla nuova normativa in termini di saldo netto da finanziare”. In sostanza, i primi, ancora timidi, margini di flessibilità introdotti dall’allora neonato governo Renzi sarebbero stati impensabili alla luce della normativa in vigore prima della riforma dell’articolo 81. Il servizio del bilancio del Senato segnala la contraddizione tra la vecchia normativa, a cominciare dalla legge di contabilità, e il nuovo articolo 81. E ovviamente ritiene assorbita la normativa di rango inferiore (legge di contabilità) da quella costituzionale come appena riformata.
La scorsa settimana, insieme al collega Francesco Boccia, presidente della commissione bilancio della Camera, abbiamo presentato un ddl di riforma della legge di contabilità, per adeguarla al nuovo articolo 81 della Costituzione.
“Reingegnerizzazione oligarchica”? No, inveramento dello spirito della Costituzione del 1948, nella mutata condizione storica, della quale è certamente parte la difficile ma necessaria unificazione dell’Europa. La stessa intenzione che, su una scala assai più vasta, ispira la riforma Boschi.
Giorgio Tonini è Vicepresidente del gruppo Pd a Palazzo Madama, membro della segreteria Pd, presidente della commissione Bilancio del Senato