Il candidato sindaco di Roma per il centrodestra, Alfio Marchini (foto LaPresse)

Il populismo bipartisan anti lusso non assicura buongoverno

Caro Marchini, tieni duro. Meglio i sindaci in Ferrari che quelli in bici

Renzo Rosati
Vergognarsi della ricchezza per far piacere al Proletario Unico da talk-show? Non abbiamo già avuto candidati sindaci in bicicletta, finiti come sappiamo? Ignazio Marino a Roma. Filippo Nogarin a Livorno. Ora la Cinque Stelle Virginia Raggi a Roma.

Roma ha i suoi problemi, ma diciamolo: sono nulla rispetto alla Ferrari del candidato civico-centrodestra Alfio Marchini. Il perché lo ha spiegato ad Otto e mezzo, incalzato da Lilli Gruber, Andrea Scanzi del Fatto quotidiano: “Marchini è un imprenditore benestante. Non è che se si presenta con una utilitaria o una Peugeot bianca ottiene maggiore empatia con l’elettorato”. Dunque il cuore della questione sta in quelle due parolette: “Imprenditore benestante”. Inammissibile, e magari non solo per i canoni della sinistra manettara-grillina (a fasi alterne), se è vero che Giorgia Meloni, sorella d’Italia, rimase inorridita alle foto di “Arfio” al Polo Club dell’Acqua acetosa, sport nel quale eccelle e pure quello non equosolidale come si conviene a chi sta “co ‘a ggente”. Ed è perfino banale aggiungere che la sinistra la dinastia marchiniana la conosce non bene ma benissimo fin da quando il prozio Alvaro, costruttore con villa a Grottaferrata e presidente della Roma, donò a Palmiro Togliatti il palazzo delle Botteghe Oscure. Ora pare che Alfio, dopo aver lasciato la Ferrari in periferia per il mitico cambio con la Panda, voglia venderla per presentarsi più umilmente in campagna elettorale. Che errore. Vergognarsi della ricchezza per far piacere al Proletario Unico da talk-show? Non abbiamo già avuto candidati sindaci in bicicletta, finiti come sappiamo? Ignazio Marino a Roma. Filippo Nogarin a Livorno. Ora la Cinque Stelle Virginia Raggi a Roma.

 

Caso mai proprio la bici dovrebbe insospettire gli elettori, altro che Ferrari. Francesco Rutelli, altra tempra, ci provò anche lui col motorino, ma ebbe il buon gusto di capire che in ufficio si va con l’auto di servizio. Ernesto Nathan, primo sindaco altoborghese di Roma, massone, ebreo e anticlericale, l’uomo che trasformò la Rometta ottocentesca in metropoli con i bilanci in ordine e cosmopolita, lui stesso essendo nato a Londra, era ricchissimo, elegantissimo, poliglotta. Ma chissà perché la sinistra che stravedeva per la maxi Yamaha di Yanis Varoufakis e che ha da tempo ha eletto a proprio guru globalista-multiuso il finanziere miliardario George Soros, inorridisce per  una Ferrari. E’ quello stesso pauperismo alquanto trasversale – c’è appunto anche un po’ di destra in felpa e garbatelliana – che a Fausto Bertinotti non perdonò non tanto la scempiaggine delle 35 ore quanto i pullover di cachemere, mentre ora si sdiliquisce per papa Francesco sulla Ford Focus; e del resto il pontefice non ha forse dichiarato la ricchezza “sterco del diavolo?”.

 

La faccenda d’altra parte non si ferma alle candidature capitoline, l’invidia sociale esplosa in grande stile in èra Cav. ha a anche che fare con il modello populista universitario, fiscale, nella scala Isee. Le recensioni cinematografiche recano tuttora l’avvertenza “ambientato in una famiglia borghese”. A Massimo D’Alema non si contesta l’incoerenza politica quanto l’Ikarus, la casa in Prati, la produzione vinicola. Invece le dinastie gradite a sinistra sono immancabilmente “sobrie”: i Moratti, i Bassetti, per un po’ perfino il loden di Mario Monti, che pure va a messa a Sankt Moritz (a scompaginare i giudizi fu però Gianni Agnelli, che flirtava con la Cgil e si tuffava pisello in fuori dal Capricia). Modesto consiglio a Marchini: si goda la Ferrari, e non nasconda il diploma del De Merode.