Vittorio Feltri (foto LaPresse)

“Io? Meglio renziano che figlio di put…”

Salvatore Merlo
Premier, Cav. e giornali. Conversazione cinica con Vittorio Feltri. Sul Fatto scrivono che ci sarà il giornale unico: Repubblica, Stampa, Unità, adesso anche Libero (e il Foglio), poi persino il Corriere della Sera, se a prenderlo saranno Diego Della Valle e Andrea Bonomi. Tutti per Renzi. “Ma queste sono evidentemente stupidaggini".

Ma davvero sei diventato renziano, tu, Vittorio Feltri? “L’ho letto stamattina sul Fatto. Scrivono anche che ho pranzato con Renzi, uno che non ho mai visto in vita mia”. Mai? “Prima di diventare un fedelissimo di qualcuno bisognerebbe averci un minimo di rapporto. E poi essere favorevoli alle riforme istituzionali, dire che voterò sì al referendum, non significa essere renziani… E comunque meglio renziano che figlio di puttana”.

 

Quindi non sei stato chiamato a dirigere Libero al posto di Maurizio Belpietro per spostare la linea del giornale e fare campagna per il referendum? “Cazzate, romanzi. Ero in contatto con gli Angelucci, gli editori, da luglio. Ci incontrammo pure nell’albergo di Armani, qua a Milano. Ad Angelucci, al figlio, dissi questo, chiaro e tondo: ‘Non vengo a fare il maggiordomo di Belpietro. Già è difficile scrivere sul Giornale che Berlusconi fa delle sciocchezze (per così dire), figurarsi se mi devo fare condizionare da un altro direttore”.

 

Aspetta, aspetta: Belpietro è tuo amico da quarant’anni! “Belpietro l’ho inventato io. L’ho scoperto a Bergamo Oggi, poi me lo sono trascinato all’Europeo, poi all’Indipendente e al Giornale”. La vostra è una lotta tra padre e figlio. “L’altro giorno Belpietro ha nascosto per quanto possibile il mio primo pezzo su Libero, quello a favore del referendum, e la cosa mi ha fatto girare le scatole”. Addirittura. “Mettiamola così: poiché mi è stato chiesto di fare il direttore, adesso posso impegnarmi a risollevare il giornale che avevo lasciato a centoventimila copie”. Non essere ingiusto, tu e Belpietro avete la stessa tecnica, forse siete persino lo stesso giornalismo. “Ma è la verità”. E cosa scrivi nel tuo primo editoriale da direttore, oggi? “Ringrazio Belpietro, per l’appunto”. Ah bene. “… lo ringrazio per aver perso copie in questi anni”. Sei ironico? “No. Poteva perderne di più”. E con Berlusconi come la metti? “Sono stato molti anni dalla sua parte, quando era lucido. Ora lui è sincero solo quando mente”. Ma allora è vero che sei renziano! “Non sono berlusconiano”. Lo hai lasciato nel momento del declino, il Cavaliere. “Non mi sento un voltagabbana”. E forse davvero non è renziano, né anti renziano, e nemmeno berlusconiano: forse Feltri è uno che sta dove gli conviene. “E’ un metodo che non mi ripugna”. Sarai direttore editoriale? “Il giornale lo farò io. Ma senza responsabilità legale, che tocca a Pietro Senaldi”.

 

Anche con Alessandro Sallusti, il direttore del Giornale, hai avuto dei momenti di tensione: divori i tuoi figli. “Con Sallusti iniziammo a lavorare insieme nel 1999, era il mio condirettore a Bologna, al Quotidiano Nazionale, al gruppo Riffeser. Poi facemmo insieme Libero e anche il Giornale. Sallusti è il numero uno dei numeri due, assieme a Belpietro”. Perché sei sarcastico con uomini con i quali devi pur aver avuto un’intimità, se non affettiva almeno amicale? “Dico solo come stanno le cose. Guarda che io li stimo entrambi, altrimenti non me li sarei mica portati sempre dietro. Però capita che in questo genere di rapporti si creino zone d’ombra, incomprensioni, sospetti… Belpietro è convinto che io abbia organizzato un complotto per farlo fuori da Libero”. E non è così? “Ma figurati che me ne frega di fare il direttore, alla mia età, con la mia carriera. E poi sono già ricco”.

 

Belpietro forse pensa che sei un po’ incoerente. Lo ha scritto ieri, all’incirca. “In contraddizione sono lui e Berlusconi. Mesi fa il Cavaliere era favorevole alle riforme istituzionali, le ha quasi scritte lui queste benedette riforme. Poi con un’acrobazia, che non mi scandalizza ma mi fa dubitare della sua capacità d’analisi, ha cambiato idea. E adesso eccolo che organizza comitati per il ‘no’. Come pure ha cambiato idea cento volte su Bertolaso candidato sindaco a Roma. Chi è incoerente, io o Berlusconi? E’ da voltagabbana dire che mi sembra confuso, in politica come pure nel Milan nel quale sta facendo delle cose orrende?”. Forse il Milan non è precisamente colpa sua. “Senti, ero berlusconiano, ma poi lui affidò la rivoluzione liberale a un socialista, figurarsi”. Ma chi, Tremonti? “Sì lui. Tremonti ha mandato tutto a scatafascio. Poi lentamente ho assistito al disfacimento del centrodestra: una fetta l’ha tagliata Fini, una fetta l’ha tagliata Alfano, una fetta l’ha tagliata Verdini, poi è arrivato pure Fitto. Alla fine è rimasto solo il culetto”.

 

Quindi ora sei per le riforme renziane. E però, scusa, quando il Foglio ha cominciato a interessarsi a Renzi, tu sfotticchiavi: anche sul cambio di direzione, dopo Giuliano Ferrara. “… facevo delle congetture, in base a certe chiacchiere che avevo orecchiato”. Diciamo che applicavi un metro di giudizio che forse non applichi a te stesso? “Ma no, non è così. A me il patto del Nazareno non mi trovava d’accordo, e ancora adesso penso che le riforme istituzionali non siano magnifiche. Ma sono qualcosa. E comunque meglio del nulla degli ultimi trent’anni. Se non si cambia adesso la Costituzione non la si cambierà mai”.

 

Sul Fatto scrivono che ci sarà il giornale unico: Repubblica, Stampa, Unità, adesso anche Libero (e il Foglio), poi persino il Corriere della Sera, se a prenderlo saranno Diego Della Valle e Andrea Bonomi. Tutti per Renzi. “Ma queste sono evidentemente stupidaggini. E quelli del Fatto cosa sono, cosa sono loro che mettono etichette a tutti?”. Dillo tu cosa sono. “Ma no. Io non prendo sul serio me stesso, figurarsi se prendo sul serio Travaglio, che pure mi sta simpatico. Etichette alla gente non le metto”. Beh, insomma, di giudizi nei hai espressi, e anche molto forti. “Al massimo di uno posso dire che è un pirla”.
E adesso ti metterai a criticare Berlusconi tutti i giorni, come prima lo difendevi? “Non ho patria”. Quindi che giornale farai? “Un giornale brutto, brutto come tutti quelli che ho sempre fatto. Spero solo di venderlo”. Tu sei capace di scrivere anche quello che non pensi. “Se il giornale lo fai per far piacere al tuo raffinato compagno di banco, non vendi niente. Il giornale deve avere un pubblico”. Allora cerchi le viscere degli italiani. “Prendi i giornali di Urbano Cairo, scusa. Fanno schifo, no?”. Diciamo che il mio compagno di banco non li legge. “Però vendono. Ecco, questa è l’unica cosa che conta”. Sarà.

  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.